Lauda, razionale e taciturno, si inserisce nel mondo dell’automobilismo, con passo lento ma deciso, agli inizi degli anni Settanta e non tarda a far parlare di sé: già dagli esordi, infatti, oltre a dimostrare le proprie capacità di pilota, si dedica al perfezionamento tecnico delle sue auto, dando prova di grande preparazione ed innato intuito. L’inglese James Hunt, antagonista di Lauda in ambito automobilistico, rappresenta il suo primo antagonista anche nella vita: ribelle, sfrenato ed irriverente, si rivela però un eccellente pilota (per la McLaren dal 1976 al 1978) capace di manovre pericolose a limite del concesso (“Più sei vicino alla morte e più ti senti vivo!” afferma Hunt in una scena del film).
La trama biografica è ricca ed avvincente: infatti la carriera dei due piloti viene ricostruita nel dettaglio (aldilà di qualche aneddoto “romanzesco”) dagli esordi in formula 3 fino al Gran Premio del Giappone (1976) , passando attraverso il terribile incidente che sfigura Lauda per sempre; ma per questa pellicola non è la trama, nonostante consenta allo spettatore di rivivere malinconicamente l’epoca d’oro della formula 1, gongolando nel ricordo di personaggi tanto accattivanti e ben ricostruiti, a costituire quel passo in più. Rush tratta del mondo dei motori, un mondo che per molti di noi (compresa la sottoscritta) è e rimarrà, con ogni probabilità, sempre un mistero.
Eppure l’argomento viene trattato con semplicità e freschezza, senza pretese, ed è esattamente questa la sensazione che arriva allo spettatore (che si aspetterebbe invece un noiosissimo susseguirsi di asettiche corse automobilistiche…); i percorsi paralleli di crescita (nel lavoro ma soprattutto emotivi) di Lauda ed Hunt ci riportano sempre con piacere nella dimensione della sana (o quasi) competizione sportiva, della voglia di fare e riuscire anche a costo di rimetterci la pelle ed il film in sé risulta, infine, una boccata d’aria fresca per chi ha voglia di dedicarsi ad un film importante che tratta argomenti importanti, ma non troppo.