Jasmine è sull’orlo del baratro. Separata, senza un soldo, senza un lavoro. Brancola nel buio della sua vita, aggrappata con le unghie alle uniche cose che ama: i vestiti firmati, i gioielli importanti, il suo disprezzo per tutto ciò che non è “classy“. Inclusa sua sorella, che è l’unica, nonostante tutto, che la accoglie dopo la caduta.
Woody Allen costruisce una commedia isterica sui suoi pilastri fondamentali, che sono diventati un po’ noiosi, a dirla tutta: il tradimento, la frustrazione, New York, l’opposizione della virtù all’egocentrismo.
La trama non è niente di speciale, così come i colpi di scena che tanto “colpi”, poi in fondo, non sono (possono essere definibili piuttosto come lievi scosse all’andamento di un film piacevole e divertente). Ma quello che è innegabile e grandissimo è l’interpretazione magnifica di Cate Blanchett. Signori e signore, sono rimasto esterrefatto e allibito davanti alla performance di un’attrice che sapevo di talento, ma non credevo così tanto. Da standing ovation.
Il dolce e austero elfo di Peter Jackson si scompone in urlo di Munch, isterica, forte, sprezzante, folle, arpia. In quegli occhi azzurro intenso, frutto dei “geni giusti”, si anima e fonda l’intera storia che si alimenta di un’interpretazione che vale l’intero film e il costo del biglietto.
L’Oscar come Migliore Attrice protagonista quest’anno è suo.
Le ho già consegnato la statuetta ieri sera.