Gorgia: l’Encomio di Elena e la forza della parola

6. Infatti, ella fece quel che fece o per cieca volontà del Caso, e meditata decisione di Dèi, e decreto di Necessità; oppure rapita per forza; o indotta con parole. Se è per il primo motivo, è giusto che s’incolpi chi ha colpa; poiché la provvidenza divina non si può con previdenza umana impedire. Naturale è infatti non che il piú forte sia ostacolato dal piú debole, ma il piú debole sia dal piú forte comandato e condotto; e il piú forte guidi, il piú debole segua. E la Divinità supera l’uomo e in forza e in saggezza e nel resto. Che se dunque al Caso e alla Divinità va attribuita la colpa, Elena va dall’infamia liberata. 7. E se per forza fu rapita, e contro legge violentata, e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è la colpa, in quanto oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subì una sventura. Merita dunque, colui che intraprese da barbaro una barbara impresa, d’esser colpito e verbalmente, e legalmente, e praticamente; verbalmente, gli spetta l’accusa; legalmente, l’infamia; praticamente, la pena. Ma colei che fu violata, e dalla patria privata, e dei suoi cari orbata, come non dovrebbe esser piuttosto compianta che diffamata? ché quello compì il male, questa lo patì; giusto è dunque che questa si compianga, quello si detesti. compianta che diffamata? ché quello compì il male, questa lo patì; dunque è giusto che questa si compianga, quello si detesti. 8. Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l’animo, neppur questo è difficile a scusarsi e a giustificarsi così: la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò. 9. Perché bisogna anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie forme io la ritengo e la chiamo un discorso con metro, e chi l’ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere. Ma via, torniamo al discorso di prima. 10. Dunque, gli ispirati incantesimi di parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi infatti, alla disposizione dell’anima, la potenza dell’incanto, questa la blandisce e persuade e trascina col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create due arti, consistenti in errori dell’animo e in inganni della mente. 11. E quanti, a quanti, quante cose fecero e fanno credere, foggiando un finto discorso! Che se tutti avessero, circa tutte le cose, delle passate ricordo, delle presenti coscienza, delle future previdenza, non di eguale efficacia sarebbe il medesimo discorso, qual è invece per quelli, che appunto non riescono né a ricordare il passato, né a meditare sul presente, né a divinare il futuro; sicché nel piú dei casi, i piú offrono consigliera all’anima l’impressione del momento. La quale impressione, per esser fallace ed incerta, in fallaci ed incerte fortune implica chi se ne serve. 12. Qual motivo ora impedisce di credere che Elena sia stata trascinata da lusinghe di parole, e così poco di sua volontà, come se fosse stata rapita con violenza? Così si constaterebbe l’imperio della persuasione, la quale, pur non avendo l’apparenza dell’ineluttabilità, ne ha tuttavia la potenza. Infatti un discorso che abbia persuaso una mente, costringe la mente che ha persuaso, e a credere nei detti, e a consentire nei fatti. Onde chi ha persuaso, in quanto ha esercitato una costrizione, è colpevole; mentre chi fu persuasa, in quanto costretta dalla forza della parola, a torto vien diffamata. 
20. Come dunque si può ritener giusto il disonore gettato su Elena, la quale, sia che abbia agito come ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da parole, sia perché rapita con violenza, sia perché costretta da costrizione divina, in ogni caso è esente da colpa?  21. Ho distrutto con la parola l’infamia d’una donna, ho tenuto fede al principio propostomi all’inizio del discorso, ho tentato di annientare l’ingiustizia di un’onta e l’infondatezza di un’opinione; ho voluto scrivere questo discorso, che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico. (Gorgia, Encomio di Elena, 6-12; 20-21)
La forza della parola, l’arte di saper convincere e portare dalla propria parte chi ascolta: Gorgia conosce finemente queste tecniche, come tutti i Sofisti del V secolo a.C. Per il filosofo infatti l’efficacia persuasiva sta alla base della validità del discorso, e non la verità: presentandosi come maestri di virtù (che però, a differenza di un Socrate, si facevano lautamente pagare) e portatori del nuovo sapere, in antitesi con i vecchi dogmi, i Sofisti erano presi di mira dai conservatori e da chi riteneva che la conoscenza si imparasse per ben altre vie. Ma il loro avvento è in concomitanza con la crisi e il cambiamento del pensiero greco, e quindi con l’apparire della retorica, che pian piano va a sostituire la dialettica.
La retorica, per definizione, è “l’arte del parlare e dello scrivere in modo ornato ed efficace. Sorta con i Sofisti come tecnica del discorso teso a persuadere” (Enciclopedia Treccani). I Sofisti portano quest’arte nella politica: un politico per avere l’attenzione e l’approvazione della folla deve saper convincere, trasportare, parlare con abilità e grazia. È così che in una Grecia sempre più diversa Gorgia sa interpretare il cambiamento, che si manifesta nella parola stessa, nel modo di saper convincere anche se quello che si dice non è esattamente buono o vero. La manifestazione più alta ed esplicativa di questo nuovo modo di comunicare è, per l’appunto, l’Encomio di Elena: la donna, causa scatenante della guerra di Troia, secondo Gorgia “fece quel che fece o per cieca volontà del Caso, e meditata decisione di Dèi, e decreto di Necessità; oppure rapita per forza; o indotta con parole.

Il filosofo, dopo aver “scagionato” la ragazza per i primi due casi, si sofferma sul potere della parola usando la parola stessa. Dice: “la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà“. Anche la poesia, di cui tesse un bellissimo elogio, è fonte di gioia e dolore e affascina come nessun’altra cosa. Dalla parola Gorgia passa alla persuasione, “che senza avere l’aspetto della costrizione, ne ha la potenza“, riuscendo così a dimostrare che Elena, se fu indotta con le parole e con la persuasione a lasciare il marito, non può essere criticata: la forza della parola è troppo forte per essere respinta. 
Ma ecco che nelle battute finali Gorgia dichiara: “ho voluto scrivere questo discorso che fosse elogio di Elena e passatempo per me“. Un gioco di retorica, un allenamento: solo questo è per il filosofo il suo testo. L’abilità del pensatore è consistita nel discutere della persuasione e della parola per poi dichiararsi egli stesso un abile sfruttatore di queste: il lettore è stato calato in un’atmosfera seria per poi essere beffato. Con i Sofisti e più in generale con l’avvento di un nuovo modello di pensiero la parola si stacca dalla realtà, per divenire, con i giusti abbellimenti e giochi, mezzo di persuasione. Anche oggi in politica, del resto, è essenziale saper parlare bene e convincere gli ascoltatori anche quando si sa di dire il falso. L’inizio del declino o una rivoluzione?
Giulia Bitto