Impiccati 16 ribelli in Iran: la situazione dei diritti umani non migliora

Nella notte tra il 26 e il 27 ottobre sono stati impiccati sedici ribelli iraniani nella regione sud-orientale del Paese. Si tratterebbe di una ritorsione governativa contro i sedici insorti imprigionati nel carcere di Zahedan e giustiziati con l’accusa di aver assassinato quattordici agenti doganali nel confine pachistano. Secondo le poche testate di stampa indipendenti dal regime, l’esecuzione è avvenuta sommariamente, senza validi indizi della loro colpevolezza. Infatti si presume che i ribelli non avessero alcun legame con gli omicidi verificatisi alla frontiera, dato che al momento dell’attentato essi si trovavano già in carcere. La versione ufficiale parla di attentatori pachistani che hanno attraversato il confine allo scopo di attaccare le guardie doganali e poi ritornare in Pakistan. Questa versione sembra essere più ragionevole se si considera che negli ultimi anni 4mila agenti doganali sono stati uccisi dai contrabbandieri iraniani e pachistani che si trovano al confine tra i due paesi. 
Questa rappresaglia probabilmente è data anche dalla continua repressione della minoranza sunnita presente nella regione del Balouchistan, all’estremo sud-est del paese. L’Iran è uno dei sessanta paesi del mondo che ancora mantiene legale la pena capitale per reati come l’omicidio, adulterio e stupro. Quest’ultima ritorsione è un evidente segnale di come la Repubblica Islamica viva ancora nella paura delle minoranze, che siano religiose, per quanto riguarda i sunniti, o che siano politiche, per quanto riguarda i laicisti riformisti. 
Hassan Rouhani
Eppure il neo-eletto premier Hassan Rouhani sembrava aver apportato delle novità importanti al suo regime, soprattutto dal punto di vista della politica estera. Infatti il 68enne pupillo dell’Ayatollah Khomeini, pur essendo sostenitore della politica nucleare, è maggiormente incline al dialogo con l’Occidente di quanto non lo fosse il suo predecessore Ahmadinejad. Per quanto riguarda la politica interna, Rouhani ha promesso una carta dei diritti civili da applicare al più presto. Tuttavia, l’inviato speciale dell’ONU per i diritti umani in Iran, Ahmed Shaheed, afferma che “la situazione dei diritti umani resta preoccupante e non dà alcun segno di migliorare.” Sulla base di un suo rapporto annuale, Shadeed denuncia l’esecuzione di 724 persone in diciotto mesi, le quali sono state nascoste dal regime. Inoltre i rappresentanti delle ONG vengono esiliati e si cerca di insabbiare le informazioni che riguardano le pene inumane ancora praticate in Iran, quali la flagellazione e l’amputazione. 
La Repubblica Islamica Iraniana è tuttora ostaggio della propria Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei, il quale è il vero e proprio padre-padrone delle istituzioni semi-democratiche. L’ispirazione alla Sharia nelle leggi dello Stato non permette ai leader innovatori, come il riformista Hosein Musavi, di competere in elezioni libere con gli avversari politici. I forti condizionamenti sull’informazione e il cieco perseguimento dei precetti islamici più radicali non permettono a questo paese di evolversi dal punto di vista dei diritti civili. 

Emanuele Pinna