Volta e Sciola tra fotografia, scultura e musica

Questo articolo fa parte della Rubrica dedicata alla Fotografia

Pablo Volta, nato a Buenos Aires il 3 gennaio 1926, è stato un grande fotografo del Novecento. I suoi primi scatti li esegue, dopo essere entrato nella Resistenza italiana, durante la Seconda Guerra mondiale. In seguito racconta, attraverso le sue foto, la città di Berlino, devastata dai bombardamenti. Nel dicembre del 1954, incuriosito dalle tematiche legate al banditismo arriva in Sardegna, a Orgosolo. Qui trova un mondo nuovo, cruento ma intatto nei valori e nelle tradizioni, dal quale resta profondamente affascinato. Scopre, e fa scoprire, un mondo nuovo, duro, impensabile. Così nel ’57 realizza un reportage storico: il carnevale di Mamoiada. La sua fotografia apre la strada all’indagine antropologica, uno sguardo intelligente che fa scoprire agli italiani una parte sconosciuta del Paese.

Le sue immagini della Sardegna apriranno in Italia la strada all’etnofotografia, genere fino ad allora poco considerato ma che negli anni successivi avrà una grande diffusione, soprattutto negli scenari post-bellici del sud della penisola. Volta incarna quella irripetibile stagione di fotografi per i quali l’immagine rappresentava l’occasione per indagare le pieghe più nascoste dell’ umanità: una fotografia per conoscere, capire, e soprattutto far scoprire universi nuovi con uno sguardo fortemente politico.
Durante gli anni Sessanta Pablo Volta si trasferì a Parigi, dove continuò a lavorare nella cronaca per i quotidiani, soprattutto per “Le Monde”. Particolarmente interessanti sono i ritratti delle celebrità del mondo artistico e cinematografico realizzati in questo periodo. La sua carriera di fotografo si interromperà momentaneamente per collaborare come documentarista per la Rai a Parigi. Alla fine degli anni Ottanta si stabilirà definitivamente in Sardegna fino alla sua morte nell’estate del 2011. Qui organizzerà mostre, si occuperà di muralismo e descriverà la stessa Sardegna come un’Odissea, per le sue tradizioni sconosciute e affascinanti.
Un altro grande artista di fama internazionale che racconta le tradizioni di luoghi poco noti è lo scultore Pinuccio Sciola. Nato nel 1942 in Sardegna, Sciola è conosciuto soprattutto per aver trasformato la sua città in un museo a cielo aperto, facendo pitturare con dei murales le facciate delle case e deponendo nelle piazze centrali imponenti sculture. Per questo suo lavoro viene, nel 1973, contattato dall’UNESCO, che lo invita a recarsi a Città del Messico per lavorare con il muralista e pittore messicano Siqueiros. Dal 1960 espone le sue sculture in Sardegna, nel 1976 è invitato alla Biennale di Venezia, nel 1983 al Festival di Spoleto, durante gli anni Ottanta espone alla Quadriennale di Roma e attualmente numerosi musei tedeschi conservano sue opere.
Alla fine degli anni Novanta la sua ricerca sulla natura delle pietre e sulle tecniche di incisione lo portano a scoprire la loro musicalità. Le sue pietre sonore sono sculture che risuonano una volta lucidate con le mani o con piccole rocce. Pinuccio Sciola riesce a conferire musicalità a queste sculture realizzando incisioni parallele sulla roccia. Le pietre riproducono suoni molto vari, con differenti qualità dipendentemente dalla densità della pietra e dall’incisione. Questi suoni non sono paragonabili a nessun altro genere di musicalità espresso da qualsiasi strumento, dato che le pietre sonore generano note stridenti che ricordano, per certi versi, anche la voce umana.
Pinuccio Sciola, partendo dallo studio di opere megalitiche quali i menhir e i dolmen, che rappresentano raffigurazioni simboliche della società preistorica, introduce la lavorazione della pietra come strumento per riprodurre un genere di musicalità che è rappresentazione al contempo di semplicità disarmante e di profondo fascino.
Emanuele Pinna