Sebastião Salgado e la fotografia impegnata

Questo articolo fa parte della Rubrica dedicata alla Fotografia.

La fotografia impegnata ci vuole raccontare un mondo che è quotidianamente davanti ai nostri occhi, ma che raramente siamo capaci di osservare con attenzione. Questa incapacità ci porta a sottovalutarne le bellezze e a non rispettarne gli elementi. È così che, grazie ad una semplice foto, Sebastião Salgado ci mostra concretamente quanti spunti possiamo trarre dal mondo che ci sta attorno ogni giorno.

Sebastião Salgado/Amazonas images
Sebastião Salgado, nato nel 1944 a Aimores, in Brasile, sceglie dopo gli studi universitari in economia di diventare fotografo. Una decisione unilaterale che, conferma lui stesso, è stata presa dopo aver vissuto per un breve periodo in Africa, ed aver visto le condizioni delle popolazioni indigene e il meraviglioso paesaggio che caratterizza il continente africano. Il suo primo reportage infatti è stato fatto nel Sahel, in cui collaborando con l’associazione Medici Senza Frontiere, rappresenta la miseria di quei territori. Nel ’74, quando entra nell’agenzia Sygma, documenta la rivoluzione in Portogallo, la guerra in Angola e la lotta per l’indipendenza in Mozambico, per poi tornare in Europa e rappresentare le condizioni di vita dei lavoratori immigrati. La sua prima grande raccolta è comunque successiva ai suoi numerosi viaggi nei paesi dell’America Latina, che danno luogo alla pubblicazione di “Other Americas”, il più grande reportage fotografico sul Sudamerica. L’ingresso nell’agenzia Magnum segna per Salgado l’inizio di reportage fotografici che, denunciando il divario crescente tra Paesi ricchi e Paesi poveri, esaltano la dignità di un’umanità sofferente. “Workers” è appunto uno di questi, e raccoglie circa 350 fotografie che costituiscono un colossale affresco sul lavoro manuale nel mondo. Nel 1994 Salgado fonda una propria agenzia fotografica, la Amazonas Images, che dà il via al progetto “In cammino”, che raffigura le migrazioni umane.

“Genesi”, in mostra all’Ara Pacis di Roma fino al 15 settembre, è l’ultimo grande lavoro di Sebastião Salgado, che offre uno sguardo appassionato, teso a sottolineare la necessità di salvaguardare il nostro pianeta, di cambiare il nostro stile di vita, di assumere nuovi comportamenti più rispettosi della natura e di quanto ci circonda. Le 200 fotografie del reportage rappresentano le foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea, i ghiacciai dell’Antartide, i deserti dell’America e dell’Africa ed infine le montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Salgado è andato alla ricerca di quelle parti del mondo ancora incontaminate, di quei segmenti di vita ancora intatta, in cui il nostro pianeta appare ancora nella sua grandiosa bellezza e dove i suoi elementi vivono come in una perfetta sinfonia della natura.
Sebastião Salgado/Amazonas images
Le fotografie di Salgado sono documenti e denuncia di condizione umana, in cui fa ingresso il suo talento, che per ricerca stilistica e senso artistico eleva le sue foto a vere opere di ingegno, non solo fredda registrazione di fatti o eventi. In una recente intervista alla BBC, Salgado parla delle sue foto come opere di presentazione di zone del pianeta che son rimaste inalterate fino ad oggi. Lo scopo di queste fotografie, secondo lo stesso Salgado, è quello di farci sentire parte della natura che viviamo, riscoprendo istinti e caratteristiche naturali che abbiamo dimenticato per approfittare delle risorse utili solo ai nostri bisogni secondari.

Emanuele Pinna