Rubens – Cesare riceve la testa di Pompeo |
Camuccini – Morte di Giulio Cesare |
Rubens – Cesare riceve la testa di Pompeo |
Camuccini – Morte di Giulio Cesare |
Socrate distoglie Alcibiade dal piacere di un abbraccio sensuale, Jean-Baptiste Regnault, 1791 |
Da qui in poi iniziarono le “peregrinazioni” del comandante. Da latitante si rifugiò a Sparta, dando ai nuovi amici consigli su come sconfiggere Atene: suggerimenti che furono devastanti per la città. Ma il soggiorno a Sparta, nonostante fu molto d’aiuto per i Lacedemoni, durò poco: Agide II, re di Sparta, tornò a casa trovando un figlio che non poteva essere suo. Il padre? Alcibiade. L’atmosfera si stava facendo troppo pesante, così il nostro stratega cercò un secondo asilo: l’Asia Minore, dai persiani. Si recò dunque da Tissaferne, satrapo, al quale diede importanti suggerimenti su come logorare Sparta e non appoggiarla nella guerra. Ma l’obiettivo dello stratega era fondamentalmente quello di tornare ad Atene.
Così iniziarono una serie di manovre folli tese ad instaurare l’oligarchia ad Atene e un’alleanza con Tissaferne: si formò il Governo dei Quattrocento e, successivamente a un colpo di stato, il Governo dei Cinquemila, che decretò nel 411 a.C. il ritorno di Alcibiade in patria in qualità di generale. Le macchinazioni e i giochi di potere fatti dal comandante sono innumerevoli: con il suo ingegno riuscì ad accattivarsi il favore del popolo ateniese, che prima lo aveva condannato, mandando in visibilio la folla durante una parata organizzata da lui. Ma la brama di ricchezze fu la sua disfatta: si recò in Caria per saccheggiarla, lasciando il comando a un luogotenente, che aveva l’ordine di stare fermo. Ma quest’ultimo senza permesso si scagliò contro la flotta spartana, perdendo miseramente. La colpa ricadde su Alcibiade, da poco tornato in patria, che si attirò nuovamente l’odio dei concittadini. Scappò così in Tracia.
L’ultima mossa di Alcibiade fu volta alla salvezza di Atene, ma ormai nessuno gli prestava ascolto: a Egospotami si accorse che le navi ateniesi erano disposte male e cercò di avvisare gli strateghi, che lo cacciarono via. La flotta ateniese subì una sconfitta schiacciante: era la fine della guerra. Gli oligarghi di Atene e Lisandro decisero di far fuori questo personaggio troppo scomodo e pronto ad esplodere da un momento all’altro. Controverso, amato e odiato, amante del lusso ma anche della sapienza: uno dei personaggi, se non strani, sicuramente più ambigui e interessanti di sempre.
“E noi non possiamo fissare il punto esatto in cui il nostro impero si fermerà; abbiamo raggiunto una posizione nella quale non dobbiamo accontentarci di mantenerlo, ma dobbiamo progettare di ingrandirlo, perché se noi smettiamo di regnare sugli altri rischiamo di essere sottomessi a nostra volta.” (Tucidide, VI, 18)
Giulia Bitto
Non voglio insinuare che le personalità più strane del mondo antico fossero solo romane, o solo imperatori romani: ma si deve riconoscere una certa predisposizione all’insanità mentale per coloro che rivestirono la più alta carica durante l’Età imperiale. Come fu per Lucio Aurelio Antonino Commodo, della dinastia degli Antonini, regnante dal 180 al 192 d.C. Paragonato a Nerone e Caligola per la follia e a Domiziano e Tiberio per la crudeltà gratuita, affascinato dalla figura dell’imperatore-dio orientale, fu l’ennesimo personaggio stravagante e poco amato dal popolo che sedette sul trono di Roma.
È facile capire come l’impopolarità di quest’uomo crescesse ad ogni evento del genere. Il senso di onnipotenza dell’imperatore si spingeva sempre più oltre: “Si fece presentare su un piatto d’argento due gobbi cosparsi di senape, e subito li promosse e li fece ricchi“; “Si accostava ai templi degli dei macchiato da stupri e da sangue umano“. Questo atteggiamento non fu più tollerato dal Senato, che nel 192, esasperato dai comportamenti efferati e gratuiti del re ordì una congiura. Alla vigilia dell’insediamento dei nuovi consoli (che probabilmente sarebbero stati uccisi dallo stesso) il 31 dicembre 192 si organizzò un banchetto, durante il quale i congiurati avrebbero dovuto avvelenare Commodo. Ma egli, sentendosi appesantito dal pasto, vomitò: così i senatori chiesero a Narcisso, maestro dei gladiatori, di uccidere l’imperatore in cambio di una ricompensa. Nel bagno più tardi si compì la congiura: non poteva più scappare dalla morte.
Commodo fu dichiarato nemico pubblico e si decretò la damnatio memoriae: nonostante moltissime statue furono distrutte, a tutt’oggi si conservano oltre cinquanta ritratti. Poco dopo, tuttavia, Settimio Severo dichiarò l’apoteosi dell’ex nemico pubblico per nobilitare la sua famiglia, bloccando il processo di damnatio e rendendolo divus: a prova di quante fossero le contraddizioni e le stranezze a Roma. Commodo fu l’ennesimo esempio di disfacimento e dissolutezza: nessun imperatore, salvo rare eccezioni, pareva interessarsi non solo del bene dello Stato ma dello Stato stesso. Il lento declino dell’urbe pareva ormai inesorabile, grazie soprattutto a personaggi di tal fatta.
Giulia Bitto