Lego-Art, con Nathan Sawaya il mattone prende vita

Lego-art ,con Nathan Sawaya il mattone prende vita.

Immedesimiamoci in una scena del colossal-cartoon Toy Story, dove improvvisamente i giocattoli si animano con vera e propria vitalità. Diventa più facile comprendere come le celeberrime Lego, mattoncini centenari da sempre presenti nelle camere di tutti i bambini, riescano a riunirsi per formare magnifiche sculture di grandezza naturale. Nathan Sawaya, artista newyorkese che lavora con il Lego dal 2004, compone bizzarre rappresentazioni tridimensionali in modo da sancire lo strabiliante matrimonio tra gioco e arte; infatti vedere ‘Il Pensatore’ di Rodin o il ‘Tyrannosaurus’ accuratamente riprodotti con mattoncini colorati ci introduce in un videogame ‘pixelato’.

Il colore, la forma e l’idea creativa confluiscono nella scelta della Lego-Art che diventa originalissima ai nostri occhi per la semplicità del materiale usato ma anche per la pazienza infinita di collocare ogni -brick- (mattone) nel posto giusto. Se ci imbattiamo in una creazione come ‘‘Yellow” , che ripropone un’uomo che si strappa il torace dal quale fuoriescono una moltitudine di Lego, entriamo in una sfera concettuale personale di Sawaya. Vuole così esprimere l’esplosione della sua identità ingegnosa rivelandoci appunto la doppia faccia della sua idea: il gioco travestito da arte.

Dietro queste sculture si cela una morale che l’artista stesso ripropone nelle sue dichiarazioni ”…i sogni si costruiscono ponendo un mattoncino alla volta…” e, così, dietro le sue elaborate opere vediamo dei sogni realizzati. L’artista newyorkese ha condotto le sue sculture in giro per il mondo tanto da acquisire una risonanza internazionale. Dal 16 settembre 2013 fino al 5 gennaio 2014 possiamo apprezzare tutti i modelli di Nathan Sawaya a New York presso il Discovery Times Square.
Se vi sono piaciute queste opere potrebbe interessarvi: “I Lego e la riproduzione di scatti storici

Raffaele Pinna

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David Cerny e il carro armato rosa: quando l’arte contribuisce a scrivere la storia

1991. La Cecoslovacchia è nel pieno di un profondo sconvolgimento sociale e politico conseguente al crollo dell’URSS, ormai definitivamente minato dalla spinta innovativa gorbacioviana della perestroika, l’imponente complesso di riforme atte a modernizzare e democraticizzare l’impero sovietico. 
David Cerny, allora giovane studente d’arte, è deciso a lanciare una durissima quanto dissacrante provocazione a quelli che sono ormai i resti dell’establishment comunista, così in piena notte, si reca nei pressi di un carro armato sovietico esposto nel centro di Praga per commemorare la vittoria della seconda guerra mondiale, e lo dipinge di rosa. Il giorno seguente, tra lo stupore generale di una folla scandalizzata e allo stesso tempo divertita dalla tinta “alternativa”, le autorità militari provvedono immediatamente a ridipingere il carro che però, pochi giorni dopo, sarà ritinteggiato di rosa da Cerny, destinato ormai a passare alla storia come uno degli scultori più sregolati  nel panorama artistico contemporaneo.
Quello dello scultore ceco fu infatti un attacco ai miti e ai simboli del potere sovietico a 360 gradi, assestato non con i convenzionali metodi di lotta, ma con l’ironia e lo scherno, che contribuirono a palesare l’assurdità e la fragilità di un impero ormai al collasso sociale ed economico. L’atto di Cerny fu sicuramente una delle istallazioni estemporanee di maggior impatto nella storia dell’arte e non solo, in quanto suscitò numerose reazioni politiche, contribuendo alla cosiddetta “rivoluzione di velluto”, che trascinò la Cecoslovacchia e parte dell’est europa fuori dall’URSS, grazie alla tenacia del suo popolo e… Grazie alla sua brillante ironia!

Francesco Bitto

Il cinema e le arti: la pittura

L’arte ha innumerevoli linguaggi, infinite declinazioni. Ogni espressione della creatività umana veicola un messaggio più o meno impegnato, e per farlo si avvale di forme e canoni estetici differenti a seconda dell’epoca e della civiltà coinvolta nel processo creativo.
Nel corso dei secoli ci sono stati molti tentativi di classificare le varie forme artistiche e di costituire una “gerarchia delle arti”, in cui il criterio per stabilire la maggiore o minore “nobiltà” di un linguaggio artistico si fondava sul rapporto tra parola e immagine, tra astratto e concreto.
Le prime discussioni sul primato delle arti si fanno risalire agli antichi greci, con il culto delle Muse, e, in epoca tardo-antica, a Boezio e Cassiodoro, con il sistema delle sette Arti Liberali, che ebbe grande fortuna fino al Rinascimento.
Queste classificazioni escludevano ancora ogni forma di arte figurativa, come la pittura, la scultura e l’architettura, ancora considerate delle raffinate forme di artigianato, nonostante la grande e gloriosa tradizione greco-romana del classicismo, che ha prodotto i capolavori di Fidia, Prassitele, Lisippo e molti altri. Dunque per l’antichità e il medioevo l’immagine non possedeva la nobiltà intrinseca della parola – e su queste posizioni ripiegarono alcuni teorici e artisti post-strutturalisti come Gilles Deleuze o Carmelo Bene.
Pertanto più un’arte rientrava nel dominio dell’astratto e della parola più era “divina” e alta.
Solo nel Rinascimento, grazie al contributo di personalità come Leon Battista Alberti, Michelangelo e Leonardo, le arti figurative ebbero riconosciuta la loro piena dignità.
Tanto che nel Cinquecento si aprì tra molti artisti e studiosi una querelle per stabilire se fosse superiore la pittura o la scultura, una controversia che produsse opere interessanti, come questa tela del Bronzino, che ritrae il nano Morgante da due diversi punti di vista, quasi a voler superare il limite di bidimensionalità del supporto pittorico.
Doppio ritratto del nano Morgante (verso/recto) (1552) [dopo il restauro] di Agnolo Bronzino
Alla fine dell’Ottocento Wagner era alla ricerca di un’arte totale, che raccogliesse e sintetizzasse tutte le forme estetiche, e, come sappiamo, l’amico Nietzsche vedeva nel dionisiaco l’origine e la potenza dominatrice delle pulsioni creatrici dell’uomo.
Dal Novecento in poi, complice anche l’invenzione cinematografica, l’intreccio e la sinergia tra le varie arti sono stati promossi e sperimentati sempre più, fino a creare un ideale di interartisticità, di “unità dinamica dell’arte”, che ha molto influenzato le poetiche e gli atteggiamenti, dalle avanguardie storiche a oggi.
Il cinema, si può dire, rappresenta la fase evolutiva più compiuta di questo processo, tanto da essere considerata criticamente da molti studiosi una non-arte, un prodotto ibrido derivato dalla decadenza di diversi linguaggi artistici.
È più condivisibile l’opinione secondo cui il cinema, proprio per il suo carattere “spurio”, proprio perché si trova al crocevia tra diverse forme artistiche e può usufruire dei linguaggi e dei mezzi di ognuna, sia potenzialmente l’arte più completa e più sfaccettata.
Questa considerazione spinse forse nel 1919 il critico cinematografico Ricciotto Canudo a coniare l’appellativo di “settima arte”, elevando l’appena ventenne cinematografo al livello della “divina” architettura e delle altre cinque arti allora ufficialmente riconosciute (pittura, scultura, musica, poesia e danza).
E in effetti il linguaggio cinematografico coniuga parola e immagine, suono e figura, musica e coreografia, ma ricombina questi ingredienti con tecniche nuove, in continua trasformazione, e ambiziosamente tese ad avvicinarsi sempre più al realismo, pur mantenendo una “finzione di base” che costituisce il patto narrativo con lo spettatore.
Il cinema dialoga incessantemente con le altre discipline artistiche, spesso appropriandosi di stilemi e temi propri di ognuna.
In particolare, un punto di riferimento fondamentale per molti registi–intellettuali è da sempre costituito dalla pittura, come dimostra la presenza di tableaux vivants in alcuni film di ispirazione biblica o mitologica, ad esempio ne “La ricotta” di Pasolini, un episodio del film collettivo “Ro.Go.Pa.G.”, in cui compaiono ricostruzioni viventi della Deposizione di Volterra di Rosso Fiorentino e della Deposizione di Santa Felicita di Jacopo Pontormo.
Tableau vivant ne La ricotta (1963) di P.P. Pasolini / Deposizione di Volterra (1521) di Rosso Fiorentino
Anche nel cinema più recente sono state recepite alcune suggestioni dell’arte moderna, ad esempio nel cinema di genere fantasy, come dimostrano questi esempi:
Inverno (1563) di Giuseppe Arcimboldo / Barbalbero ne Le Due Torri (2002) di Peter Jackson –
Acqua (1568) di G. Arcimboldo / Davy Jones ne I Pirati dei Caraibi di Gore Verbinski
Non è certo se i disegnatori di Peter Jackson e Gore Verbinski abbiano davvero tratto ispirazione dalla pittura di Arcimboldo, ma indubbiamente siamo di fronte ad una “riaccentuazione” (Iris Zavala) significativa di elementi dell’immaginario collettivo, formatosi in secoli di produzione artistica e letteraria.

Il sodalizio tra pittura e cinema ha prodotto anche forme d’arte completamente nuove, come la videoarte, che conta tra i suoi esponenti più apprezzati personaggi eclettici come Nam June Paik e Bill Viola.

Quest’ultimo, soprattutto, ha esplorato l’arte di Pontormo (cfr. The Greeting) di Masolino (cfr. Emergence) e di altri artisti quattro–cinquecenteschi rilevanti, rileggendo alla luce della sua personale interpretazione il senso di movimento e le pathosformeln (Aby Warburg) che l’arte moderna è riuscita a codificare e a trasmettere alla posterità.

Visitazione di Carmignano di Jacopo Pontormo

Altro interessante esito ottenuto dalla fusione di arte e cinema è indubbiamente il recente film “I colori della passione” (2011) (titolo originale: “The Mill & the Cross”) di Lech Majewski. Oltre a essere un immenso tributo all’arte di Pieter Bruegel, la pellicola di Majewski è un vero e proprio film-quadro, che ripercorre, intrecciandole, la storia interna e la storia esterna dell’opera, rendendola viva e trasformando la pittura in una vicenda compiuta e coerente.
A mio parere esperimenti come questo costituiscono l’ultima frontiera del cinema, e possono fornire spunti utili e strade da percorrere per chiunque voglia addentrarsi nel suo mondo.
Solo sviluppando una continua intesa tra le varie forme d’arte e valorizzando i punti di contatto e le interrelazioni tra di esse, evitando di compiere sterili graduatorie, si potrà rendere omaggio e testimonianza della grandezza e del merito di chi ci ha preceduto, e forse un giorno si arriverà all’ “arte totale” tanto celebrata da Wagner e Nietzsche.
Giorgio Todesco