Misoginia nella democratica Atene

Zeus che tuona nelle nuvole, per la grande disgrazia degli uomini mortali ha creato le donne.” (Esiodo)

Quando parliamo di misoginia nel mondo classico non possiamo riferirci a tutta la Grecia: oggi sappiamo infatti che a Sparta, acerrima nemica di Atene, considerata città grezza e austera, le donne venivano educate fuori casa, frequentavano palestre, circoli, e si dedicavano alla danza e alla cura del corpo: potevano anche non occuparsi necessariamente della casa e dei figli. Certamente alla base di questa politica vi era la “fissazione” tipicamente spartana di procreare figli forti, sani, pronti a diventare guerrieri: da qui l’attenzione per la figura della donna. Ma, quantomeno, Sparta non si professava patria indiscussa della democrazia e della libertà: Atene sì. Tucidide, per bocca di Pericle, nell’epitafio che egli rivolse alla cittadinanza per i caduti nel primo anno della guerra del Peloponneso, loda la politèia ateniese: Atene è paradigma per gli altri, le leggi vengono rispettate, vi sono tantissimi sollievi dalle fatiche, la bellezza e la sapienza sono amate, gli affari pubblici non trascurati. Atene è la scuola della Grecia. Ma proprio durante la guerra del Peloponneso i nodi della fantomatica democrazia vengono al pettine: la sprezzante egemonia ateniese nella lega Delio-Attica, la riscossione dei tributi con la forza, l’assoggettamento di piccole colonie che avrebbero voluto rimanere neutrali in base alla legge del più forte (si pensi all’episodio di Melo, che Tucidide traccia con raffinata efficacia nel dialogo tra gli ambasciatori di Atene e i Meli, in cui viene affermata la legge del più forte e l’inutilità di opporsi a una potenza così schiacciante) con conseguenti spargimenti di sangue, le diseguaglianze sociali, i contrasti interni, l’imperialismo arrogante, lo sfruttamento degli schiavi, l’emarginazione di stranieri e donne
Ed è proprio sul trattamento delle donne che le contraddizioni di Atene vengono pienamente a galla. Bisogna riconoscere di certo che all’interno della città attica ricchi e poveri potevano prendere parte alla vita politica: purché i genitori fossero entrambi ateniesi, purché non fossero schiavi, purché non fossero donne. La donna ateniese era esclusa dalla vita politica, dalla vita sociale, non godeva di alcun diritto e dipendeva totalmente dal padre o dal marito. Trascorreva gran parte della sua vita in casa, dove si occupava dei figli e delle faccende domestiche, aiutata dagli schiavi; con lei potevano persino abitare concubine o etere, donne con le quali il marito trascorreva a piacimento il tempo. “Viveva sotto una sorveglianza strettamente rigorosa; doveva vedere meno cose possibili, capirne il meno possibile, porre meno domande possibili” (Economico, Senofonte). Le uniche occasioni per le quali la donna ateniese poteva uscire da casa, salvo brevi visite ad altre donne, erano le festività religiose: nel campo religioso infatti la donna godeva di pari diritti, e poteva ricoprire l’incarico di sacerdotessa. E se la moglie dal punto di vista politico e sociale era considerata nulla, non di miglior reputazione godeva agli occhi dello sposo, che spesso praticava attività sessuale con le concubine o, all’interno del simposio, con altri uomini. 
Anche nella letteratura svariati sono gli esempi di misoginia. “Chi si affida ad una femmina si affida ai ladri”, dice Esiodo ne Le opere e i giorni: Semonide distingue tra “donna cavalla” (inoperosa, sempre intenta a curarsi, “schiva i lavori servili e la fatica”, “all’amore si piega per obbligo”) e “donna ape”, fonte di prosperità, “madre di figli illustri”, “non le piace stare con le amiche se l’argomento dei discorsi è il sesso”. Il tragediografo Euripide proverà a riscattare la condizione femminile, ottenendo in cambio di essere frainteso come sfrontato misogino. Proprio attraverso le crude parole di Giasone “Quando il matrimonio va bene, ritenete che nulla vi manchi; se invece qualche disgrazia colpisce il vostro letto, considerate una cosa molto ostile quella che prima era la migliore e la più bella. Bisognerebbe che gli uomini generassero figli in qualche altro modo e che non esistesse la razza femminile; così per loro non ci sarebbe più alcun male” (Medea), e ancora di Ippolito “O Zeus, perché hai messo alla luce e imposto agli uomini la donna, questo grande malanno? Se era nel tuo intento propagare il genere umano, non era necessario farlo attraverso le donne. Gli uomini avrebbero dovuto semplicemente comprare la generazione dei propri figli” (Ippolito), Euripide delinea la stima che i suoi contemporanei avevano delle donne. E, proprio perché punti nell’orgoglio, i contemporanei stessi lo additarono come nemico delle donne, screditandolo. Con la sola eccezione di Saffo nessuna testimonianza di filosofe o poetesse ci è rimasta, probabilmente cancellata già a quel tempo, per ribadire che solo l’uomo è atto a fare certe cose: e c’è chi sostiene ancora che i grandi pensatori furono uomini perché le donne non ne erano capaci, non considerando in che condizioni versava la donna, relegata in casa, non istruita a dovere, senza potere leggere le grandi opere o studiare le scienze, concepita esclusivamente per portare avanti la specie (meglio se con figli maschi). Come avrebbe potuto diventare un genio una donna, se le uniche realtà che conosceva erano le mura di casa? 
La democratica Atene si fingeva democratica proprio come oggi fanno molti altri paesi, che si ritengono paladini delle libertà individuali, della salute, della privacy. Ma proprio per discernere chi è davvero garante di questi diritti dobbiamo guardare alla condizione di ogni singolo individuo: donne, stranieri, uomini professanti diverse religioni. Solo dopo avere considerato se le libertà sono estese a tutti si può dare un giudizio. Del resto, la parità della donna (almeno nei Paesi occidentali) a qualsiasi livello è stata raggiunta nel XX secolo: non c’è da stupirsi se nel V secolo a.C. Atene peccasse di misoginia. La questione della donna è tuttora accesa: in molte parti del mondo, da tempo immemorabile, il gentil sesso vive in una condizione di disparità, disuguaglianza e inferiorità. Perché? 

Un uomo, quando sente fastidio di stare in casa con i suoi familiari, esce fuori e solleva il cuore dalla noia. Per noi, invece, è destino volgere lo sguardo verso una sola persona. E dicono di noi che viviamo in una casa una vita senza pericolo, mentre loro combattono in guerra; ma ragionano male. Giacché preferirei stare tre volte presso lo scudo piuttosto che partorire una sola volta!” (Medea, Euripide)

Giulia Bitto