Alfredo Crupi
Articolo
La mafia uccide solo d’estate – Recensione Film
Se in Italia fare un film che parli dettagliatamente di mafia non è facile, fare un film ironico e leggero che parli di mafia, mettendo d’accordo praticamente tutti è quasi impossibile. Non a caso questo è il paese dove l’opinione pubblica preferisce tapparsi gli occhi fino all’ultimissimo momento disponibile pur di non accettare la realtà…e questo Pif lo sa bene. Onore quindi al coraggio dell’ex iena, che ha deciso di affrontare in chiave verosimilmente autobiografica la tematica delle tematiche riguardante la Sicilia e i suoi abitanti, intraprendendo la via più difficile per portare al cinema l’italiano medio nel periodo natalizio, svincolandosi dal solito format cinepanettonico puro e nobile (vedi Zalone, che a conti fatti si eleva del minimo sindacale rispetto allo schema vanziniano) per produrre una pellicola che nel bene o nel male, quando arriva il momento di alzarsi dalla poltrona ed i titoli di coda cominciano a scorrere, lascia qualcosa su cui riflettere.
Ma quello di Pif è un racconto originale, agrodolce, in cui le figure dei boss mafiosi sono dipinte tra il buffo e il grottesco e a tratti sono ridicolizzate, cozzando volutamente ed in maniera molto forte con la realtà storica di quegli anni di sangue e stragi. Lo Stato è assente (se non connivente) e gli uomini che decidono di contrastare l’ascesa di Riina sono lasciati soli (la prefettura è vuota, tanto che il protagonista riesce ad arrivare nello studio di Dalla Chiesa) e la popolazione di Palermo tenta fino alla fine di negare l’esistenza del problema mafioso. E l’esistenza stessa del singolo non è che un triste contorno alla vicenda storica e politica degli anni settanta ed ottanta in Sicilia, che risultano a conti fatti i veri protagonisti del film!
L’impressione è quella di assistere ad un lavoro scolastico, di quelli fatti dai bambini delle medie che cominciano i temi con frasi del tipo :”la mafia è una cosa molto brutta”. Buona la sceneggiatura, in grado spesso di strappare qualche risata. Ottima la ricostruzione storica e politica della Palermo anni 70/80, senza dubbio la cosa migliore della pellicola. Limitata e a tratti poco credibile la storia in sé, che soffre di una mal riuscita rincorsa ad un verghiano “verosimile”, a tratti forzato ed inutile. Forti i riferimenti ad “Il Divo” di Sorrentino e al “Testimone” dello stesso Pif, da cui eredita la dinamicità nelle riprese e quella forte pulsione verso la narrazione-verità. In definitiva l’esordio di Pif alla regia è positivo ma…non aspettatevi troppo!
La zattera della medusa e la speculazione nell’arte
La battaglia che cambiò la seconda guerra mondiale: Pearl Harbor – Recensione libro
L’aggettivo “proditorio”, da sempre associato all’attacco giapponese del 7 dicembre 1941 alla flotta statunitense del Pacifico ancorata a Pearl Harbor, basta da solo ad avvertire che la storia dell’apocalittica sconfitta americana è ancora pregna di emozioni e sentimenti e che finora non è stata possibile una universale scrittura obiettiva dell’evento. Un passo deciso in tal senso viene fatto da Roberto Iacopini, giornalista Rai, nel libro “La battaglia che cambiò la seconda guerra mondiale: Pearl Harbor”, appena uscito per Newton Compton. Un resoconto incalzante e avvincente dell’operazione bellica, cui l’autore arriva dopo una illuminante disamina dei sommovimenti geopolitici che sconvolsero l’Asia negli anni Trenta del secolo scorso.
Una piccola impresa meridionale – Recensione film
Dopo il successo di Basilicata coast to coast, Rocco Papaleo torna in cabina di regia per un nuovo film ambientato ancora una volta nel sud Italia. Le scene di “Una piccola impresa meridionale” sono state girate interamente in Sardegna, in provincia di Oristano, ma la storia si svolge in un paesino immaginario tra la Basilicata e la Puglia. Una location meravigliosa fa da cornice alla commedia, alla quale il regista, aiutato da inquadrature mozza fiato – quasi da spot turistico – ha reso senz’altro giustizia.
Riccardo Scamarcio e Rocco Papaleo |
Samsung Galaxy NX, il nuovo ibrido Fotocamera-Smartphone con interfaccia Android
Scende in pista il nuovo ibrido di casa Samsung, la Galaxy NX, ardito esperimento di unione di una fotocamera con obiettivi intercambiabili e uno smartphone di fascia alta, se si tratti di una macchina fotografica con uno smartphone “incastonato” dietro l’obiettivo o viceversa dipenderà dall’uso che se ne vuole fare, come anche per altri modelli (Sony QX Lens-camera, Nokia Lumia 1020) non resta che scoprirne le caratteristiche.
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Sensore CMOS da 20.3 Mpx APS-c (stesso della NX300)
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Kit con obiettivo 18-55mm F3.5-5.6
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Autofocus ibrido avanzato (AIA): 105 punti di messa a fuoco; 247 punti di rilievo del contrasto
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Schermo Touchscreen capacitivo LCD 921K da 4.8 pollici in Gorilla Glass
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SVGA mirino elettronico con controllo delle diottrie
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Formati immagine JPEG, RAW, RAW+JPEG
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Scatto continuo a 8.6 fps
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Registrazione video a 1080/30p, 720p60
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16GB di memoria, con slot per micro SD
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Processore Quad-core da 1.6GHz
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Android 4.2 (Jelly Bean)
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Batteria da 4360mAh
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Wi-Fi doppia banda 802.11 a/b/g/n
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Bluetooth 4.0 (LE) e NFC
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Dati da cellulare in 4G LTE/3G HSPA+42Mbps
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GPS e bussola integrati
Il display da 4.8″ sarà utilizzato per la maggior parte delle funzioni |
Da sottolineare che è la prima del suo genere a scattare in formato Raw.
Perfetta per chi ama scattare e condividere le proprie foto sui social network. Si mira, si scatta, si condivide e il gioco è fatto. Per quanto riguarda la fotografia non è stata introdotta nessuna miglioria significativa.
V per Vendetta, quando un film diventa un simbolo: foto e video delle maschere di Guy Fawkes
Da Madrid a New York, da Roma a Londra, la dirompente forza delle idee espresse da V ha fatto breccia in coloro che hanno sete di giustizia, di verità e di vendetta, comparendo in tutte le manifestazioni e in tutte le proteste degli ultimi anni. Il capolavoro di McTeigue riecheggia nel nostro presente, ricordandoci l’importanza delle idee e ricordando al potere l’importanza dei simboli.
Gatsby ed il Grande Sogno Americano – Recensione libro
E Jay Gatsby ci prova quando, con tutta la tenacia e la determinazione che da sempre contraddistinguono tale “ideale”, tenta di riconquistare il suo vecchio amore, Daisy Buchanan. Adesso Jay ha accumulato una fortuna, si sente padrone del mondo e può finalmente sposarla, se non fosse per il fatto che quest’ultima, che ha come unico Valore il denaro, ha sposato a sua volta il ricchissimo Tom Buchanan. Daisy ed il marito Tom, il quale ha una relazione con Myrtle Wilson, una donna povera e volgare, vivono a New York; Gatsby compra una villa lussuosissima proprio di fronte alla casa di Daisy, al di là della baia, e dà feste lussuosissime alle quali invita centinaia di persone (che spesso neanche conosce), nella speranza di poterla incontrare e sedurre con la propria ricchezza. Alla fine riesce ad ottenere un incontro con Daisy grazie a suo cugino, Nick Carraway, che è anche vicino di casa di Gatsby e narratore della storia;ed è a questo punto che Jay deve, purtroppo, scontrarsi con la realtà, e la realtà non è e non sarà mai all’altezza del suo sogno, un sogno destinato, nostalgicamente, a fallire: la felicità, infatti, non ha prezzo e non può essere comprata neanche con il potere e la ricchezza. Per cui, se il Grande Sogno Americano è quella speranza di felicità che fallisce, è quell’illusione che svanisce proprio nel momento in cui si tenta di afferrarla, allora Gatsby ne è sicuramente il simbolo, alter ego dello stesso autore e rappresentante designato di illogici e spietati meccanismi umani e sociali.
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Milano ricorda la poetessa Alda Merini con una mostra fotografica
Lasciando adesso che le vene crescano
Il manicomio è una grande cassa
Il manicomio è una grande cassa
con atmosfere di suono
e il delirio diventa specie,
l’anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai
luogo maledetto
sopra cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta.
Emanuele Pinna
Inchiesta Ilva, Nichi Vendola tra i cinquantatré indagati dalla Procura di Taranto
Giovanni Zagarella