Finale di Dexter: L’addio al serial killer più amato

Disclaimer: Articolo contenente spoiler sul finale del telefilm Dexter

Crescere con un serial killer è una sensazione piuttosto strana, Debra Morgan sa cosa vuol dire ma in un certo senso tutti noi, che abbiamo seguito gli ultimi otto anni di vita di Dexter Morgan, abbiamo familiarità con quella strana sensazione che ci fa provare empatia, affetto e che ci fa sentire meglio, ogni qualvolta che vediamo il nostro psicopatico preferito.
Dexter Morgan ci ha salutati, ha detto addio alla sua vera natura, ha detto addio alla sua vita e alla sua famiglia. Perché, del resto, è sempre stata questa la storia che il telefilm ha spinto per raccontarci in questi lunghi otto anni: il cambiamento spirituale ed emotivo, di un uomo che credeva fosse possibile provare qualcosa e, nel momento in cui è riuscito ad entrare pienamente in contatto col suo lato umano, si è abbandonato al più razionale e basilare tra gli istinti, ovvero la fuga.
Chi è Dexter Morgan? Lui è un serial killer, ossessionato dal sangue, con un suo semplicissimo codice morale, insegnatogli da suo padre Harry quando capii che suo figlio non era come gli altri: Uccidere solo chi merita realmente di morire.
Il “Codice di Harry” è ciò che per molti anni tiene a galla Dexter, l’unica cosa che lo rende umano, che tiene sotto controllo la sua natura psicotica e violenta, che gli rende impossibile vivere una vita tranquilla e normale, almeno è questo quello che lui ha sempre pensato. 
Per molti lui è solo un ematologo forense della polizia metropolitana di Miami ma in realtà, approfittando delle falle del sistema giudiziario della Florida e delle notizie che recepisce a lavoro, è un giustiziere che pone fine alla vita dei criminali rimasti impuniti, anche se è errato definirlo “giustiziere”, Dexter non lo fa per giustizia, lo fa per continuare a vivere, per tenere a freno i suoi impulsi primordiali che da sempre gli ordinano di uccidere.
Michael C. Hall premiato come miglior attore in una serie drammatica
Dexter è stato un telefilm andato in onda su Showtime (in Italia, attualmente, su Fox Crime e vedrà la sua conclusione entro fine anno) ed è un riadattamento della serie di romanzi di Jeff Lindsay, di cui solo il primo, “La mano sinistra di Dio” (Darkly Dreaming Dexter), vien seguito fedelmente nella sua trasposizione televisiva.
Un telefilm che ovviamente, fin dall’inizio, è stato bollato come “controverso”, però i successi non sono mai venuti a mancare, come testimonia il Golden Globe vinto dal protagonista Michael C. Hall nel 2010, nell’ambitissima categoria “miglior attore in una serie drammatica”.
Per capire il successo di Dexter basterebbe guardare la sigla di apertura, dove un semplice rito mattutino, simile o quasi a quello di ognuno di noi, viene trasformato, grazie ad ingegnose scelte di regia, in modo da sembrare un omicidio: ecco che allacciare la scarpa ricorda uno strangolamento o “l’accoltellamento” di un’arancia sembra andare oltre il concetto di prepararsi un succo di frutta. La violenza è ovunque, l’importante è saperla contestualizzare.
Non solo Dexter comunque, perché senza tutte le persone che si sono avvicendate a lui in questi anni, il suo cammino atto a ricercare la sua umanità non si sarebbe mai compiuto; Debra (Jennifer Carpenter) è stata a lungo la sua unica famiglia e il finale del telefilm ci ha fatto capire, qualora ci fossero dubbi, quanto lei fosse importante per lui, suo padre Harry (James Remar) che, come se fosse la parte più razionale e, in qualche modo, sana della sua coscienza, continua sempre a star accanto a Dexter finché lui ha bisogno del suo aiuto, nonostante si sia suicidato ormai da anni, Rita (Julie Benz) è stato il primo vero amore di Dexter, la donna che sposò e con cui ebbe Harrison prima di venire uccisa da Trinity (impersonato da John Lithgow che vinse un Golden Globe per la sua interpretazione) ma ben più importante dell’ex moglie è stata Hanna McKay (Yvonne Strahovski), anche lei una serial killer ma l’unica capace di far provare al protagonista delle emozioni così forti che sono state capaci di cambiarlo dalle fondamenta (anche se non senza qualche intoppo di percorso).
Dexter e Hanna McKay
Essenziale anche il contributo delle sue nemesi, prima su tutte l’Ice Truck Killer, Brian Moser che prima chiederà la mano di Debra e poi cercherà di ucciderla per “liberare” Dexter, dato che egli si rivelerà essere il fratello di cui non ricordava l’esistenza e che lo vorrebbe nuovamente accanto, ma senza quei legami, a suo modo di dire, fittizi che si è creato nella sua vita da semplice uomo ordinario; il dover scegliere tra i due fratelli segnerà per sempre Dexter e gli darà un inaspettato vuoto nella sua vita, che in realtà corrisponde al primo passo per allontanarsi dal suo Dark Passenger (il nome dato al suo apparentemente irrefrenabile desiderio di morte), però per lui era ancora troppo presto per capirlo.
L’ultima serie ci ha donato un Dexter più razionale e più cauto, però forse è venuta a mancare la narrazione eccelsa delle scorse serie, dove ogni mutamento emotivo veniva seguito dall’inizio alla fine; senza ombra di dubbio l’amore verso Hanna e, soprattutto, la morte di Debra hanno portato alla fine di quel lungo percorso descritto poc’anzi, però, si ha la sensazione che, determinati passaggi, siano saltati e che non siano stati osservati meticolosamente come in passato; anche il “Brain Surgeon”, l’ultimo grande nemico di Dexter, non è sembrato all’altezza dei predecessori, la sua mancanza di genio ha contribuito al finale sottotono della serie.
La fine del telefilm, un Dexter irriconoscibile

Dexter ha mandato per l’ultima volta un cadavere a navigare tramite la corrente del golfo e anche un pezzo della sua anima. Perché fuggire proprio ora? Perché non approfittare della fuga in Argentina? Perché non creare una nuova vita con suo figlio e la donna che ama? Paura, terrore, amore… una serie di sentimenti che non credeva avrebbe mai provato, invece eccoli lì, tutti accatastati nel suo cuore, rendendolo immobile e vittima, non più di un oscuro passeggero, ma della sua nuova natura
Ci sarebbe ancora tantissimo da dire, da analizzare i motivi per i quali siamo così affascinati dalla morte, capire tutti i processi psicologici di Dexter ma forse è meglio fare solo un semplice tragitto, tenendo sempre in mente di tenere a bada il nostro passeggero.

L’hip hop underground dei Jedi Mind Tricks

Da dieci anni a questa parte la scena hip hop italiana si divide tra rap underground e rap commerciale. Con il netto prevalere di quest’ultimo, la qualità delle nostre rime e dei nostri MC è andata calando di anno in anno e secondo alcuni pionieri dell’hip hop italiano quello proposto dalle nuove generazioni non sarebbe nemmeno più vero rap. Gli si può dare ragione? Basterebbe andare a vedere come funziona nel paese dove l’hip hop è nato, ovvero gli Stati Uniti. Riconoscendo che esistono una quantità innumerevole di stili diversi di fare rime sui quattro quarti, il rap commerciale negli USA ha pochissimi ascoltatori, mentre quello underground occupa una parte fondamentale. Per quale ragione in America gli appassionati di hip hop si comportano in maniera opposta rispetto a quelli italiani? È molto semplice: ognuno dei rapper che si è arricchito con la musica ha mantenuto lo stesso stile durante la propria carriera, come ad esempio gli EPMD, Mobb Deep, Wu Tang Clan e tanti altri. Di conseguenza il rap underground negli USA è destinato a non morire mai e a prevalere finché ci saranno artisti che, mantenendo la stessa metrica, riusciranno a piacere e a guadagnare.

Fra rap americano e rap italiano si inserisce Vincenzo Luvineri, in arte Vinnie Paz, che da Agrigento arriva a Philadelphia per fondare la Jedi Mind Tricks, insieme a Stoupe e Jus Allah. La musica d’inferno della JMT debutta nel 1997 con l’album Psycho-Social, un LP che racconta la manipolazione della coscienza umana attraverso i vari metodi esposti dalla mitologia orientale. Per queste tematiche e per le basi prodotte da Stoupe, caratterizzate dall’utilizzo di campioni della musica classica, la JMT è stata subito apprezzata dalla scena hip hop della east cost. Dopo pochi anni, da un’idea di Vinnie Paz, nasce la Army of the Pharaohs, un gruppo che raccoglie diversi rapper di successo della zona. Nel 2000 esce l’album Violent by Design che passerà alla storia come una delle più importanti collaborazioni hip hop degli ultimi venti anni.

I toni aggressivi e le tematiche profonde di Vinnie, unite ai beat melodici di Stoupe, fanno fare il salto di qualità alla JMT. Nel 2001 la Babygrande Records diventa la loro principale casa produttrice e dà vita ad un LP quasi mistico, intitolato Visions of Gandhi. Un progetto che vuole sottolineare il bisogno di personalità e mentalità non violente in quegli anni di attentati terroristici. Ad incrementare l’importanza del disco sono state alcune canzoni dell’album che contengono spezzoni di discorsi di Gandhi stesso ed altre che hanno liriche che si ispirano in alcuni casi a brani di musica classica ma anche latina. Stoupe, fortemente criticato per le sue basi, decide di tornare alle origini, o meglio di tornare a quei beat aggressivi in cui Vinnie riesce ad esprimere il suo meglio. È così che nel 2006 esce Servants in Heaven, Kings in Hell in cui esordisce il duetto inedito che prende il nome di Heavy Metal Kings formato da Vinnie e Ill Bill del gruppo La Coka Nostra. In quest’album vengono affrontate tematiche riguardanti la guerra in Vietnam e la politica in generale ed il singolo più incisivo è proprio Heavy Metal Kings.

Gli ultimi dischi della JMT sono History of Violence del 2008 e Violence begets Violence del 2011 in cui c’è il ritorno di Jus Allah nel gruppo dopo essersi allontanato successivamente alla scelta di produrre per la Babygrande Records. Il suo ritorno completa la produzione della crew di Philadelphia e porta al successo il trio. Ultimamente le produzioni da solista di Vinnie si moltiplicano e un recente successo è il singolo End of days in cui lui espone la sua ultima visione complottista del mondo.

Emanuele Pinna

iPhone 5s vs iPhone 5c e iPhone 5 le differenze tra gli smartphone di casa Apple

Per prima cosa vediamoci una recensione dell’iPhone 5s realizzata dall’autorevole canale youtube Telefonino.net
In questa prima parte dell’articolo vedremo un confronto fra le caratteristiche tecniche e le particolarità tra l’iPhone 5s e l’iPhone 5c, mentre nella seconda parte una video recensione-confronto fra iPhone 5s e iPhone 5, per vedere se i miglioramenti apportati sono significativi o meno.

CHIP

5s: Chip A7 con architettura a 64 bit e Coprocessore di movimento M7
5c: Chip A6

DIMENSIONI

5s:

  • Altezza: 123,8 mm
  • Larghezza: 58,6 mm
  • Profondità: 7,6 mm
  • Peso: 112 g

5c:

  • Altezza: 124,4 mm
  • Larghezza: 59,2 mm
  • Profondità: 8,97 mm
  • Peso: 132 g

Solo il 5s è dotato del sensore di impronte digitali.

DISPLAY

Uguale per entrambi, sia l’iPhone 5s che il 5c montano un Display Retina da 4″ (diagonale) con risoluzione da 1136×640 pixel e 326 ppi

FOTOCAMERA

5s:
  • 8 megapixel (pixel da 1,5µ)
  • Diaframma con apertura ƒ/2.2
  • Rivestimento dell’obiettivo in cristallo di zaffiro
  • Flash True Tone
  • Sensore BSI (backside illumination)
  • Obiettivo a cinque elementi
  • Filtro IR ibrido
  • Autofocus 2 volte più veloce rispetto ai modelli non dotati del chip A7
  • Tocca & metti a fuoco
  • Rilevamento dei volti
  • Panorama
  • Modalità scatto in sequenza
  • Geotagging delle foto
Nell’iPhone 5c le uniche differenze sono: ottica meno luminosa, con diaframma a f/2.4 (un inezia), il Flash LED invece che True Tone e l’assenza della modalità scatto in sequenza.
La differenza manggiore che stacca il 5s da tutti gli altri modelli è Il sensore BSI retroilluminato che mantiene una risoluzione di 8 megapixel, ma ha un’area maggiore del 15%, di conseguenza i pixel risultano più grandi, a tutto vantaggio della riduzione del rumore in condizioni di scara luminosità e i di una maggiore gamma dinamica.
Nella modalità video l’unico vantaggio del 5s consiste nella possibilità di registrare video a rallentatore, entrambi possono registrare video HD a 1080p 30 fps.
Uguale in entrambi i modelli la fotocamera frontale che può realizzare foto da 1,2MP (1280×960)e registrare video HD a 720p.
BATTERIA
Uguale in entrambi i modelli:
  • Batteria ricaricabile agli ioni di litio integrata
  • Ricarica tramite computer via USB o tramite alimentatore
  • Autonomia in conversazione: fino a 10 ore su 3G
  • Autonomia in standby: fino a 250 ore
  • Utilizzo di internet: fino a 8 ore su 3G; fino a 10 ore su LTE; fino a 10 ore su Wi‑Fi
  • Riproduzione video: fino a 10 ore
  • Riproduzione audio: fino a 40 ore

MEMORIA

Per il 5s sono disponibili i modelli da 16,32 e 64 Gigabyte mentre per il 5c solo da 16GB e 32GB.

iPhone 5S vs iPhone 5 video confronto by HDblog

La Grecia reagisce al fascismo, ‘decapitata’ Alba Dorata

Pavlos Fyssas, il rapper ucciso lo scorso 17 Settembre da Alba Dorata

Il cambio di rotta era nell’aria. Che la Grecia, nell’affannoso tentativo di uscire dalle secche della crisi, non potesse trascinare con sé la zavorra di Alba Dorata sembrava ogni giorno più ovvio: la violenza, il terrore, l’ignoranza di questo neofascismo paramilitare erano per Atene un pessimo biglietto da visita. Ma l’omicidio di Pavlos Fyssas, rapper 34enne, e le minacce di dimissioni di massa (vi ricorda qualcuno?) hanno fatto sì che quello che resta dello Stato di Diritto, travolto dalla miseria e dalla fame del popolo, desse un ultimo, letale colpo di coda. Nella notte tra ieri ed oggi sono infatti finiti in manette il leader di Alba Dorata, Nikos Michaloliakos, il portavoce Ilias Kasidiaris e 36 militanti, tra i quali ben 13 parlamentari su 18 (2 sono attualmente in latitanza). Un colpo mortale alla testa del gruppo, che nei mesi scorsi sembrava destinato a prendere le redini della Grecia con una svolta autoritaria.

Sono state le minacce di dimissioni a spingere il governo e la polizia ad agire contro Alba Dorata, i cui esponenti erano già sospettati di essere i mandanti dell’omicidio del giovane rapper. In un momento in cui una crisi istituzionale avrebbe di fatto ostacolato l’arrivo degli aiuti economici dall’UE la miopia politica di Alba Dorata stava facendo rischiare troppo il premier Samaras. Azione giudiziaria o repressione politica? Probabilmente entrambe: un’ultima alleanza di forze democratiche nel tentativo di salvare la Grecia.

Michaloliakos esegue il saluto romano a un raduno di neofascisti

In attesa dei processi i militanti di Alba Dorata si stanno radunando in queste ore sotto le sedi della polizia, e non è difficile che si arrivi a scontri. 

Fonti dei servizi segreti, riportate in queste ore sui quotidiani, segnalano infatti come siano stati individuati numerosi campi di addestramento di Alba Dorata in tutto il paese, nonché di come vi siano le prove del coinvolgimento diretto di esponenti di spicco del partito in  violenze perpetrate in questi mesi ai danni delle minoranze etniche. Di certo, ad Atene, la situazione rimane tesa. Ma, per la prima volta dopo anni, la Grecia sembra abbastanza forte da fare fronte comune contro una vera e propria minaccia interna.
Roberto Saglimbeni

Shingeki no kyojin: Fine prevista attorno al volume 20

Shingeki no kyojin (Attack on Titan), l’opera geniale di Hajime Isayama, con grande probabilità vedrà la fine attorno al volume 20 (il manga ad oggi è arrivato al volume 12).
Il mangaka ha annunciato la sua scelta, che lascerà l’amaro in bocca ai tantissimi fan della serie, nel programma Zip! di Nihon TV; l’annuncio viene fatto, tra l’altro, proprio pochi giorni  prima dell’ultima puntata della prima serie dell’anime, mentre i fan sono in trepidante attesa del videogame per Nintendo 3DS, atteso per il 5 Dicembre 2013 in Giappone.

Che dire, una scelta che arriva in un periodo dove SNK è riuscito ad affermarsi come l’anime più popolare dell’anno, un anime che si fa forza di disegni pregiati e di una narrazione di altissimo livello.

Il mangaka non si è fermato al mero annuncio ma, in un’ottima intervista di cui ora verranno proposti i punti salienti, ha spiegato parti del processo che han visto la nascita della sua amata opera.

Il libro “per le espressioni facciali”

Interessante la rivelazione secondo cui, Isayama, avrebbe usato un libro di riferimenti anatomici  per rendere al meglio le espressioni facciali dei titani; invece la creazione dei mastodontici e crudeli titani è dovuta ad una casualità: un giorno, durante il suo turno di lavoro in un internet cafè, vide un cliente ubriaco aggirarsi nei dintorni, la figura di quell’uomo, che sembrava avesse ben poco da spartire con una persona normale, gli fece venire in mente che l’animale più pericoloso è l’essere umano.

Il paesino rurale citato da Isayama

Un altro dei concetti principali, ovvero la voglia di libertà e di esplorare il mondo, di Eren e Armin, è una sensazione, rivela sempre l’autore, molto familiare per lui, difatti avendo vissuto in un piccolo paesino rurale certi pensieri per lui vennero automaticamente, così come fu consequenziale a questa sua esperienza, l’idea di creare nel manga una città protetta da mura altissime, vero fulcro della storia dell’anime.
Per quanto riguarda le sue passioni ha confidato di essere un gran fan delle Momoiro Clover Z, aggiungendo che la loro musica da un aiuto essenziale al suo lavoro, soprattutto quando deve prepararsi a disegnare scene piuttosto “delicate”.
Shingeki no Kyojin, quindi, si prepara alla sua fine, un anime e manga che è entrato nel cuore di tantissime persone e che deve essere un “must” per tutti i fan del genere, dotato di una maturazione e logica narrativa non affine a tutti. In seguito su queste pagine si parlerà in modo più completo di quest’opera, per ora posso
solo consigliarvi di non perderla.

SPAM: Origine e storia della pratica cibernetica più diffusa

Volete sintetizzare la storia, la cultura, l’umorismo e la cucina inglese con un solo termine? Perfetto, niente fa al caso vostro come la parola SPAM! E non per il suo significato moderno ( la pratica con cui un individuo invia senza consenso messaggi identici a più utenti a fini commerciali o divulgativi), bensì per la storia e le vicende legate alla sua etimologia.

La SPAM era infatti un tipo di carne in scatola prodotta dal Hormel Foods Corporation, nato nel 1937, la cui ricetta e il cui contenuto (compreso il tipo di carne) rimase sconosciuto per decenni. La SPAM fu utilizzata come soggetto in uno degli sketch più divertenti e famosi della storia della comicità inglese da parte dei Monty Python Flying Circus, che nel giro di pochi mesi divenne un vero e proprio tormentone nazionale.

La vicenda è ambientata in una locanda nel quale ogni pietanza proposta dalla cameriera è a base di SPAM. Man mano che lo sketch avanza, l’insistenza della cameriera nel proporre pietanze a base di SPAM (uova con SPAM, pancetta e SPAM, salsicce e SPAM) si fa sempre più pressante, e si contrappone alla riluttanza del cliente per questo alimento, il tutto in un crescendo corale di Vichinghi che, seduti ai tavoli limitrofi, inneggiano a gran voce alla carne in scatola.

Il Monty Python rappresenta una pietra miliare per la commedia britannica. Si tratta di una serie televisiva trasmessa dalla BBC dal 69 al 74, concepita e interpretata da John Cleese, Eric Idle, Graham Chapman e Terry Jones, liberamente strutturata come insieme di gag, ma con un approccio tipo “flusso di coscienza”. Lo spettacolo andò oltre i confini etici e morali del tempo, sia in termini di stile che in termini di contenuto, influenzando per decenni la commedia e la cultura britannica. Quella dei Monty Python era una comicità accuratamente intellettuale, con riferimenti filosofici e letterari, che derideva le ipocrisie e le storture di una società inglese perbenista e moralista.

L’attacco alla carne in scatola SPAM trova una sua motivazione nelle campagne pubblicitarie assillanti che la Hormel Food Corporation era solita condurre. Nel periodo successivo al secondo dopoguerra infatti (ricordiamo che l’Inghilterra fu sottoposta a un rigido razionamento alimentare), questo alimento proteico costava pochissimo (la metà rispetto alle altre marche di carne in scatola europee, da qui il forte sospetto che il tipo di carne non fosse molto “convenzionale”) ed era parte integrante della dieta di ogni inglese. La SPAM era ovunque, da qui lo skatch dei Monty Python e successivamente, l’adattamento informatico del termine. Le reazioni a questa gag, tanto sottile quanto scomoda, causarono un vero e proprio terremoto ai vertici della BBC, che pretendette la testa di John Cleese su un piatto d’argento, licenziando così l’intellettuale del gruppo. Dio salvi la regina e sotterri l’umorismo scomodo e la verità! Very British.

Francesco Bitto

Carpe diem: quello che molti non sanno

Magliette, borse, tatuaggi, collane, loghi, negozi: la frase carpe diem è universalmente conosciuta e usata. Il povero Orazio se, tornando in vita, venisse a conoscenza dell’uso improprio che oggi si fa di questo concetto, si suiciderebbe. Proprio così: carpe diem giunge dal poeta latino Orazio, vissuto nel I secolo a.C. E non è frase solitaria pronunciata da un edonista scansafatiche, bensì parte di un componimento poetico e frutto di riflessione filosofica.

CD del rapper Entics intitolato Carpe Diem
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Vt melius, quidquid erit, pati,
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum! Sapias, uina liques et spatio breui
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit inuida
aetas. Carpe diem, quam minimum credula postero.
(Carmina, I, 11)
Tu non domandare – è un male saperlo – quale sia
l’ultimo giorno che gli dei, Leuconoe, hanno dato a te
ed a me, e non tentare gli oroscopi di Babilonia.
Quanto è meglio accettare qualunque cosa verrà!
Sia che sia questo inverno – che ora stanca il mare Tirreno
sulle opposte scogliere – l’ultimo che Giove ti ha concesso,
sia che te ne abbia concessi ancora parecchi, sii saggia,
filtra il vino e taglia speranze eccessive, perché breve
è il cammino che ci viene concesso.
Mentre parliamo, già sarà fuggito il tempo invidioso:
cogli il giorno presente, fidandoti il meno possibile del domani.
Leggendo il testo tutto diviene improvvisamente più chiaro: carpe diem non significa abbandonarsi al mero edonismo, sfruttando il momento che si vive per ottenere un piacere superficiale senza curarsi del futuro. Non significa vivere alla pazza gioia come se non esistesse un domani: carpe diem è un’esortazione a cercare la propria felicità e la tranquillità nell’immediato presente, poiché del futuro non possiamo conoscere nulla. Non si deve avere fretta di vivere, non si deve proiettare la propria esistenza in un tempo inaffidabile e incerto: piuttosto è meglio godere di ciò che la vita ci offre al momento.

Affiora in questa ode uno dei concetti cardine della produzione poetica oraziana: l’autàrkeia, l’autosufficienza, il sapersi accontentare e, in questo caso, vivere con gioia e partecipazione ogni momento della propria vita. Orazio non intende scoraggiare il lettore o dare un messaggio pessimistico sulla caducità dell’esistenza umana, vuole dare un consiglio: non vivete nell’attesa, nell’ansia per il futuro, per qualcosa che noi non possiamo decidere.
È triste talvolta constatare come concetti così profondi divengano motti sfruttati e tritati all’infinito, senza che quasi nessuno sappia la loro origine (e non si curi di saperla, nemmeno ai tempi di internet). L’ennesima prova, questa, che i classici brutti vecchi e morti in realtà non siano poi così distanti.

Giulia Bitto

I senza tetto di Hollywood, l’altra faccia del sogno americano

The american dream”, quante volte abbiamo sentito parlare di questo fantomatico “sogno americano”, di persone che partono da ogni angolo del mondo per raggiungere la patria dei sogni, gli Stati Uniti D’America, con la speranza di trovare finalmente la felicità o un tenore di vita migliore. Ma se per alcuni il sogno americano si è avverato, per altri invece è diventato un incubo

Michael Pharaoh ci mostra l’altra faccia di un’ America fin troppo idealizzata, fotografando i volti dei senza tetto di Hollywood. Un progetto insolito ma davvero sentito come lui stesso ha dichiarato: “E’ stato interessante ascoltare tutte le loro storie e i racconti di come sono finiti a vivere per strada. Questo progetto è stato unico, ma triste e ancor di più umiliante”. 

Tutto quello che ha immortalato si svolge a pochi passi dalla mondanità e dalla ricchezza sfrenata, a pochi passi da Red carpet, studi cinematografici e vestiti da milioni di dollari. Con questo reportage Michael Pharaoh ha voluto evidenziare il contrasto tra i volti luminosi dei divi di Hollywood con quelli scuri e anneriti dalla polvere e dalla tristezza, dei senzatetto di Los Angeles. Il fotografo Neozelandese ha voluto immortalare soprattutto gli occhi contornati da rughe e cicatrici, con dei primi piani che rivelano tutto il vero stato d’animo dei suoi soggetti.

Consuelo Renzetti

La Malinconia di Haruhi Suzumiya: Dove sognare è una religione

Tutti abbiamo avuto quella fase nella nostra vita, nella quale ci siamo resi conto che sognare non fosse più abbastanza, quegli anni dove il cielo comincia a tingersi di nuove speranze, credendo che prima o poi accadrà qualcosa pronto a stravolgere la nostra intera esistenza. Per qualcuno è solo una fase passeggera, ci si sente pronti a porre il proprio cammino nel sentiero della razionalità, sperando che i problemi rimarranno per sempre un inavvicinabile miraggio. Per altri, il prendere coscienza della difficoltà di vedere i propri sogni più assurdi divenire realtà, è solo causa di malinconia, vorrebbero che un alieno squarciasse quel cielo che ti ha tradito e ti mostrasse il volto di un destino che stravolgerà per sempre qualsiasi tuo ideale.
Haruhi Suzumiya è così. Haruhi è una studentessa delle superiori che, nonostante abbia il massimo dei voti in ogni materia e nonostante sia stata dotata di qualità estetiche da far invidia a qualsiasi ragazza, non riesce ad esser felice per quel che ha, per lei la vita è un incessante aspettare che l’irrazionale prenda possesso della monotonia che attanaglia l’intero pianeta: quindi l’imperativo è far ogni follia che le viene in mente per attirare alieni, viaggiatori del tempo, esper o chissà chi altri.

Suzumiya Haruhi no yuutsu (illustrata da Ito e scritta da Tanigawa, edito da Kadokawa Shoten) è una delle opere di maggior successo in Giappone, una light novel convertita in anime e manga, che è riuscita a far incetta di premi e di record (l’unica light novel, nella storia, ad aver venduto più di un milione di copie con un solo volume): le sue ambientazioni fortemente realistiche, divenute vere e proprie mete turistiche, si uniscono in maniera perfetta con una narrazione che va ben oltre il limite dell’assurdo, sforando anche a volte il limite del buon senso, come molti critici han tenuto a sottolineare parlando della saga “Endless Eight”, che è stata la causa primaria della mancanza di commercializzazione all’estero di almeno metà delle puntate dell’anime… ma del resto se non si fossero mostrati audaci e pronti a tutto, per far arrivare perfettamente il messaggio dell’opera, sarebbero stati vittime della monotonia che loro stessi, gli autori, vogliono condannare.

Il logo della Brigata SOS
Ovviamente Haruhi non è sola nella sua avventura: difatti, sfruttando appieno la realtà delle scuole giapponesi, la storia gira intorno le vicende della “Brigata SOS”, un club scolastico fondato insieme al suo compagno di classe (e narratore) Kyon e altri compagni di scuola, apparentemente trovati per puro caso. La figura di Kyon è sicuramente intrigante, egli rappresenta “la voce della concretezza”, il suo compito è far rimanere coi piedi per terra una ragazza che se solo volesse potrebbe distruggere il mondo per ricrearlo secondo il suo volere. Gli espedienti narrativi utilizzati da Tanigawa vanno ben oltre il semplice concetto dell’ “avventura scolastica dove la protagonista è un po’ folle”, tutt’altro, la storia non è quel che ci si possa aspettare e la sua vera natura viene mostrata solo lentamente allo spettatore. Oltre i vari elementi di genere fantastico, la narrazione si sublima grazie a perle filosofiche (“per caso conosci il principio antropico, ne hai mai sentito parlare?” ) e l’importantissima, ai fini della storia, festa giapponese del 7 Luglio, il Tanabata, che aggiungono alla trama elementi imprescindibili che fan arrivare a quello che è il fulcro della storia: l’ Haruhiism.
L’Haruhiism è una “religione” che viene seguita dai più attenti fan della serie, soprattutto nella terra del Sol Levante, che vede la venerazione scherzosa di Haruhi, semplicemente perché lei farebbe di tutto per i propri sogni e, ammettetelo, creare una religione da un anime non è roba di tutti i giorni. La Malinconia di Haruhi Suzumiya è un anime che parla dell’importanza dei sogni, di non metterli mai da parte, a dispetto dell’età, perché qualcuno potrebbe pensare che è da bambini sperare negli alieni o di poter viaggiare nel tempo ma i veri sognatori non si stancheranno mai di mostrare al cielo lo sguardo più folle che hanno, andranno sempre contro tutti i pareri, perché per qualcuno sognare è davvero un dogma.
A.Z.

‘La famiglia omosessuale non ci piace, se i gay non sono d’accordo non comprino la nostra pasta’. Le dichiarazioni di Guido Barilla spaccano l’opinione pubblica

Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri”.

Guido Barilla, presidente dell’omonima e celeberrima multinazionale della pasta, ha commentato così la questione dei matrimoni gay ai microfoni de La Zanzara, scatenando l’ira del web e di una buona fetta del mondo politico. Incalzato dal conduttore Giuseppe Cruciani, Barilla ha parlato di politica, famiglia e sessualità senza troppi peli sulla lingua: “Per noi il concetto di famiglia sacrale è uno dei valori fondamentali dell’azienda, come la salute e la famiglia, il concetto di famiglia unita. Non faremo pubblicità con omosessuali perché la nostra è una famiglia tradizionale […]Se ai gay piace la nostra pasta e la nostra comunicazione, la mangiano, se non gli piace quello che diciamo, faranno a meno di mangiarla e ne mangeranno un’altra”.

Come prevedibile, la reazione più violenta alle dichiarazioni di Barilla è arrivata dal mondo dell’associazionismo gay: il presidente dell’associazione omosessuale Equality Italia, Aurelio Mancuso, ha invitato al boicottaggio della marca di pasta tramite i social network. Reazioni inviperite sono arrivate anche da parte del deputato Alessandro Zan (SEL), anch’egli esponente del movimento gay e favorevole al boicottaggio dei prodotti della Barilla, e da Ivan Scalfarotto (PD), che ha sottolineato come sia “deprimente che un imprenditore abituato a fare affari e a vendere in tutto il mondo dica cose come quelle che ho sentito da Guido Barilla. La comunità degli affari in tutto il mondo sa che le persone LGBT producono e consumano come tutte le altre persone”.
Tuttavia, non tutti si sono trovati in disaccordo con Guido Barilla: alcuni esponenti politici di destra, come Eugenia Roccella (PDL) e Gianluca Buonanno (Lega,) hanno dichiarato il loro sostegno all’imprenditore perché difensore dell’ “immagine tradizionale della famiglia”. Non sono mancati gli accenni polemici alla legge contro l’omofobia, attualmente in discussione alla Camera e fortemente osteggiata proprio da PDL e Lega perché “lesiva della libertà d’espressione di ognuno”.
Barilla ha porto le sue scuse, dichiarando che non voleva offendere nessuno: “Mi scuso se le mie parole hanno generato fraintendimenti o polemiche, o se hanno urtato la sensibilità di alcune persone. Nell’intervista volevo semplicemente sottolineare la centralità del ruolo della donna all’interno della famiglia”. Ma la polemica è già esplosa. E ha fatto riemergere tutte le spaccature della società italiana in materia di diritti LGBT.

Giovanni Zagarella