Arte e Totalitarismi: La filosofia italiana ai tempi del fascismo – Gentile, Croce, Gramsci

Il ventennio fascista rappresentò per l’Italia un periodo di intensa repressione intellettuale e sociale. Come ben sappiamo le libertà politiche, d’espressione e di pensiero vennero tutte soppresse in favore della dottrina di regime, esattamente come avvenne nella Germania nazista e nella Russia di Stalin. Eppure, paradossalmente, quello stesso periodo vide in l’Italia la fioritura di tre correnti filosofiche, ognuna diversissima dall’altra, che diede vita ad uno dei frangenti storici più fecondi di ogni tempo per la filosofia politica italiana. I tre principali filosofi di questo periodo, ognuno di essi vessillo e capofila della propria corrente, furono Giovanni Gentile, Benedetto Croce ed Antonio Gramsci. Tutti e tre cominciarono la loro speculazione filosofica a partire dal pensiero di Hegel e dalla dialettica, che nei primi anni del ‘900 visse una seconda primavera. 

Giovanni Gentile, siciliano di Castelvetrano, mosse i suoi primi passi nel mondo della filosofia accanto a Benedetto Croce. Dopo la marcia su Roma e la presa del potere da parte di Benito Mussolini, venne proclamato Ministro dell’Istruzione e divenne l’ideologo ufficiale del fascismo. Nel 1925 redisse il “Manifesto degli intellettuali italiani fascisti”. La filosofia di Gentile prende le mosse sia dalla dialettica hegeliana sia dal primo Marx, specialmente dalle “Tesi su Feuerbach”, e mette al centro della speculazione il concetto di atto. Il mondo e la materia possono essere conosciuti soltanto attraverso l’atto, l’azione, il fare dell’uomo; e attraverso questa azione non è soltanto l’oggetto ad essere modificato, ma anche il soggetto che compie l’atto, portando così il filosofo siciliano a proclamare l’unità tra soggetto ed oggetto. Questa concezione volontaristica della realtà influenza fortemente le posizioni politiche di Gentile, che afferma che l’atto si concretizza come Stato. Lo Stato, dunque, non è esterno al soggetto, non è una scelta dell’uomo: esso trascende il singolo e ingloba tutti gli aspetti della sua vita. Inoltre ha una missione morale ben definita, ovvero quella di plasmare la morale dell’uomo (in quanto Stato etico) e, nello specifico caso fascista, porre in atto la nazione italiana e formare il carattere degli italiani. 

Se Gentile fu il teorico del totalitarismo, l’abruzzese Benedetto Croce diede nuovo slancio ideologico alle idee liberali, filtrandole attraverso una concezione dialettica mutuata da Hegel e dagli idealisti. Croce interpreta la politica come forza, ovvero un atto che ha per fine il conseguimento di uno scopo utile; lo Stato è un insieme di azioni utili che si realizza nel governo, ed è soltanto una delle possibili derivazioni della politica. Le differenze con la concezione gentiliana di Stato sono evidenti, e furono tra i motivi alla base della separazione dei due filosofi. Per Croce, che affermava l’esistenza di una vera e propria religione della libertà, la libertà è la forza creatrice della storia ed il fine ultimo a cui essa si dirige: tutta la storia è storia di libertà, ovvero della sua progressiva realizzazione attraverso le ere e gli eventi. Dopo una prima fase di attesa, Croce interpretò il fascismo come un’accidentalità che rallentava il dispiegarsi della libertà, e si schierò apertamente contro Mussolini, diventando l’intellettuale bandiera degli antifascisti rimasti in patria. Nonostante l’accesa difesa del valore della libertà, Croce non si schierò a favore del liberismo economico: a differenza di quello storico-istituzionale, il filosofo lo considerava relativamente trascurabile e non necessario all’affermazione dei valori liberali. 

Antonio Gramsci, nato ad Ales in Sardegna, fu uno dei pensatori marxisti più influenti della sua generazione, nonché storico, giornalista, politico e critico letterario. La sua originale posizione nei confronti del comunismo e dell’URSS e la sua visione della rivoluzione e del ruolo del partito di massa, lo pongono come unicum in tutto il panorama della filosofia socialista. Per Gramsci, la Rivoluzione d’Ottobre fu possibile a causa della natura della società russa, debole e arretrata e quindi facilmente modificabile sin nelle fondamenta. Le società occidentali invece, inclusa quella italiana, sono ben più articolate e complesse: questo fattore rende evidente la necessità di compiere un processo rivoluzionario di lungo periodo, basato su un progressivo logoramento delle “difese” della società civile capitalista. Il Partito comunista rivoluzionario riveste un ruolo importantissimo, perché deve portare avanti la propaganda culturale nelle città e nelle comunità, tramite anche la figura dell’ “intellettuale organico”. La rivoluzione deve passare dall’essere guerra di movimento, all’essere guerra di posizione. Dal punto di vista economico, Gramsci si fa sostenitore dell’industrialismo senza capitalismo, basato sul “lavoratore collettivo” indipendente dal punto di vista morale e intellettuale, non più schiavo del capitale. Fine analista della società italiana e non, Gramsci compie anche una disamina del fascismo e del motivo per il quale Mussolini è riuscito a prendere il potere: la borghesia industriale si è avvalsa dei ceti medi per arginare la forza dei proletari, dando vita al fenomeno del fascismo e in particolare delle squadriglie armate. Il fascismo sarebbe dunque un fermento reazionario, uno scudo eretto dall’alta borghesia per soffocare l’avanzata socialista in tutta Italia.

Giovanni Zagarella