55. Esposizione Internazionale d’Arte – Il Palazzo Enciclopedico

Si sta avviando in queste settimane verso la conclusione la 55. Esposizione Internazionale d’Arte organizzata dalla Biennale di Venezia e aperta al pubblico dal 1 giugno fino al prossimo 24 novembre nelle due sedi dell’Arsenale e dei Giardini. 

Tema di quest’anno è appunto il Palazzo Enciclopedico: “il 16 novembre 1955 l’artista autodidatta italo – americano Marino Auriti depositava presso l’ufficio brevetti statunitense i progetti per il suo Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità, collezionando le più grandi scoperte del genere umano, dalla ruota al satellite“, spiega il direttore Massimiliano Gioni. Gli artisti e i numerosi Paesi partecipanti, i cui padiglioni si dislocano sia all’interno dei Giardini sia all’interno dei palazzi storici della città, hanno fornito un proprio prototipo e una propria risposta correlati appunto all’utopistico tentativo di conservazione di tutto il sapere universale. La scelta del tema è assolutamente interessante se riferita e calata in un contesto contemporaneo all’interno del quale si assiste sempre più ad una disgregazione e ad una perdita graduale del passato e soprattutto dei legami intessuti con lo stesso.
Le opere d’arte esposte possono essere tutte accomunate da generici temi e fili conduttori che anche il visitatore meno accorto è in grado di rintracciare senza molte difficoltà: dalla sfera onirica e spirituale ai feticci e alle tradizioni cultuali antiche, dalla materialità degli oggetti dell’infanzia alla messa in scena vera e propria di ricordi legati alla propria esperienza personale di vita. Si tratta di un’avvincente sfida, di una riproposizione del passato da attualizzare in un presente magmatico e che allo stesso tempo rechi in sé degli agganci per il futuro a noi più vicino: “quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini esteriori? E che senso ha cercare di costruire un’immagine del mondo quando il mondo stesso si è fatto immagine?“, si chiede ancora Gioni.

Di fronte al potere onnicomprensivo della Rete, bisogna cercare di riportare alla luce i sentieri e i percorsi inesplorati che giacciono dentro ciascuno di noi, così da poter dar luogo ad una reale e veritiera storia universale. Le modalità attraverso le quali il visitatore viene avvicinato alle opere sono molteplici, ma possono essere ricondotte a quelli che sono oggi i nuovi modi di fare arte: dalle performances ai video che inglobano lo spettatore all’interno di una storia narrata, dal coinvolgimento emotivo alla richiesta di un’interazione per far sì che l’opera “funzioni”. Di impatto Millet Mounds del cinese Xan Kuan che attraverso 173 video documenta ogni tomba imperiale conosciuta in Cina, che prende il proprio nome dalla somiglianza con i cumuli di cereali della stagione del raccolto, in una convulsa e onirica tecnica del fermo immagine, come fosse il diario figurato di un popolo che assorbito dal proprio esorbitante progresso ha smarrito la strada del ricordo di sé.
Anche la raccolta dei sogni delle detenute del carcere dell’isola della Giudecca di Rossella Biscotti, già nota per il film del 2011 The Prison of Santo Stefano, colpisce nel segno la complessità della tematica proposta. Per quanto riguarda i Paesi espositori e le modalità artistiche utilizzate possono essere ricordati ad esempio i padiglioni di Russia, Romania e Corea: nell’opera Danae di Vadim Zakharov solo le donne hanno accesso ad una sorta di gineceo circolare all’interno del quale piovono dall’alto monete d’oro, che simboleggiano la lussuria e l’avidità umana, ma anche il potere corruttivo del denaro, rifacendosi anche alla tradizione locale russa. Il progetto An Immaterial Retrospective of the Venice Biennale ripropone alcune delle opere esposte nelle precedenti edizioni della Biennale d’Arte ma non attraverso immagini, bensì attraverso un gruppo di cinque persone che mettono in scena le opere e allo stesso si mettono in scena. Nell’opera To Breathe: Bottari del coreano Kimsooja il visitatore entra in un padiglione fatto di specchi che rispecchiano la luce del solare creando quasi un caleidoscopio e in seguito viene invitato ad entrare per un minuto in un camera oscura e insonorizzata nella quale fare esperienza di sè.

Un’unica perplessità: davvero questa, che è a tutti gli effetti arte, è in grado di colpire il pubblico e di provocare in esso reazioni? Così facendo, gli artisti riescono ad avvicinarsi al proprio pubblico o a volte la quasi impossibilità nel decifrare il significato dell’opera li reclude nuovamente in una turris eburnea cui l’accesso è negato ai non addetti ai lavori? La massiccia presenza di pubblico sembrerebbe smentire queste postille finali e starebbe a dimostrare che ciascuno dei partecipanti sarà forse in grado di portare con sé suggestioni, dubbi ed incomprensioni, che magari in modo inconscio interrogheranno e stimoleranno sia in positivo sia in negativo il proprio io, troppo spesso messo a tacere. Se così fosse, allora il palazzo enciclopedico non sarebbe lontano dall’essere costruito.
Lucia Piemontesi