La zattera della medusa e la speculazione nell’arte

L’arte può scandalizzare, può scuotere le fondamenta della nostra emotività e può far parlare di se. E’ lecito. Ma se l’opera viene creata con un preciso scopo speculativo, se essa utilizza il dolore e lo scandalo dell’opinione pubblica come un trampolino di lancio verso il successo cosa la differenzia dall’immondizia? Cosa la rende migliore della pornografia? Cosa l’autorizza ad autodefinirsi “arte”?

Nel 1816 la fregata francese “Medusa” naufraga nell’oceano, al largo della costa africana, lasciando in vita solo uno sparuto gruppo di uomini che, dopo giorni terribili di sofferenze passati su una zattera rudimentale in balia delle onde, vengono soccorsi. Il fatto suscita in patria un enorme clamore, sia per la tragedia in se, sia per le ripercussioni sulla politica mercantile della repubblica francese. Géricault coglie al volo l’occasione dipingendo la vicenda su un’enorme tela di 4,91×7,16 metri ed esponendola l’anno successivo al Salon, dove, comprensibilmente, scatena violentissime polemiche politiche e artistiche, contrapponendo i giovani romantici innovatori e i conservatori.
In particolar modo il pubblico è indignato dalla contaminazione neoclassica, intrisa di ordinata atarassia e composta armoniosità, di quello che è un gigantesco dramma collettivo, che accomuna non solo i naufraghi della Medusa ma la Francia intera. Il candore dei corpi immacolati e privi di qualsiasi segno di sofferenza, l’ordine geometrico con cui viene raffigurata la scena (un triangolo equilatero), il bianco della biancheria e delle vesti, stridono eccessivamente con quella che è la realtà del dramma marinaresco, in una rilettura ai limiti dell’offensivo, volutamente distante da qualsiasi verità rappresentativa, volutamente provocatoria.
La dinamicità dei corpi, entusiasti per l’avvistamento della nave giunta in soccorso, fa protendere una vera e propria piramide umana verso il fulcro del quadro, rappresentato dall’orizzonte (la speranza), mentre altri naufraghi ,meno fortunati, restano ai margini del quadro, morti o moribondi, in preda ai flutti del mare, dando l’opportunità all’osservatore di riscoprirsi fatalista osservando un vecchio canuto riflettere sulla caducità della vita. La tela è un’orripilante mistura tra classico e romantico, tra freddo e caldo tra ardore e distacco dalle passioni, in un turbinio di arte fine a se stessa, troppo distante dalla verità , la cui missione è sconvolgere e inorridire. Mai tanta fortuna artistica fu più immeritata. Pornografia nei libri di arte!

Francesco Bitto