Menandro: Il misantropo e la commedia nuova

Dýskolos, unica commedia menandrea rimasta integra, presenta una struttura tipica con una trama intricata e destinata al lieto fine: il dio Pan, immaginandosi di essere a File, a nord di Atene, descrive al pubblico la vita e la personalità di Cnemone. Egli è un misantropo che vive con la figlia e la serva Simiche detestando gli altri esseri umani: la moglie, per il comportamento del marito, è andata a vivere con il figlio Gorgia. Pan ha fatto perdutamente innamorare un giovane, Sostrato, della figlia del misantropo: così inizia la vicenda. Sostrato chiede aiuto ad un amico per scoprire qualcosa di più su Cnemone: ma un servo mandato in casa dell’uomo viene brutalmente scacciato. Successivamente, con grande sorpresa, il giovane incontra l’amata mentre riempie un’anfora di acqua: ma l’incontro è osservato da un servo di Gorgia, il quale viene tempestivamente informato dell’accaduto. 


Sostrato viene avvicinato da Gorgia, il quale, scoprendo le buone intenzioni e riconoscendo la nobiltà del sentimento, diventa amico dell’innamorato e gli consiglia di lavorare la terra per mostrarsi laborioso agli occhi di Cnemone. Ma il consiglio si rivela infruttuoso, poiché né il padre né la figlia, quel giorno, sono andati nei campi: così Sostrato si reca ad un banchetto, invitando Gorgia. Improvvisamente la serva del misantropo giunge al convito chiedendo aiuto: il padrone è accidentalmente caduto in un pozzo per recuperare una zappa. Sostrato e Gorgia, cogliendo l’occasione perfetta per conoscere e farsi apprezzare da Cnemone, tirano fuori l’uomo: Cnemone, per ricambiare il favore, acconsente che la figlia sposi Sostrato, e il giovane dà sua sorella in sposa a Gorgia. La commedia si chiude con le doppie nozze e con Cnemone che, contrariato, prende parte al banchetto. 

Con Menandro prende corpo la commedia nuova: una commedia incentrata sull’uomo, sulla sua psicologia e sulla vita. Se Aristofane criticò Euripide imputandogli la fine della tragedia e prediligendo una commedia basata sulla fantasia e sulla bizzarria, Menandro recupera dal tragediografo la tendenza all’introspezione psicologica e alla realtà. Nell’approfondire il personaggio di Cnemone, Menandro mostra come anche un misantropo abbia, in fondo, bisogno delle altre persone e come la collaborazione e l’amicizia sciolgano le situazioni più ardue. Nel Misantropo la risata non è mai esagerata e mai legata a situazioni oscene o banali: il commediografo, più che a far ridere il suo pubblico, tende a fare riflettere sulla vita e sulle innumerevoli possibilità che essa offre. La spontaneità e la leggerezza delle scene coinvolgono il pubblico in maniera sapiente, grazie anche allo stile semplice.

Menandro vive in epoca alessandrina (nasce nel 341 a.C.), ed è chiaro come le esigenze siano mutate. Non sono più gli dei a gestire ogni cosa, bensì gli uomini (intuizione che ebbe Euripide, ma i tempi non erano ancora maturi: dai più fu considerato  ateo); non prevale più la spettacolarità e la stravaganza bensì l’aderenza alla realtà. Con il cambiamento della mentalità greca non solo la filosofia, la letteratura e la politica cambiarono, ma anche il teatro subì una notevole evoluzione di cui Menandro fu protagonista: una scia che, nel IV secolo a.C., portò con sé ciò che era antico per rivoluzionare ogni cosa

Giulia Bitto