Once upon a time stagione 3: Disney meets Lord of the flies

Attenzione, possibili spoiler.

La hook & co. tour vi da il benvenuto sull’Isola che non c’è, dove troverete sirene aggressive, fate fallite, ventenni smarriti dai migliori istituiti correzionali del multiverso ouat, drammi generazionali, conflitti padre/figlio, sentimentalismi (meno), botte e incantesimi (più). Se la scorsa stagione poteva validamente essere prescritta come sostituto del Valium, le prime puntate della nuova sembrano aver invertito la rotta ed essersi allontanate dai lidi della noia. Gli ingredienti base della serie continuano a esserci tutti: la rielaborazione delle fiabe classiche, l’umanizzazione dei personaggi, la magia e i sentimentalismi; quello che sembra essere cambiato e aver dato una bella botta di vita a una sceneggiatura stanca e ripetitiva è il cambio di ambientazione (a metà tra Lost e i Pirati dei caraibi), la riduzione delle diabetiche banalità sentimentali e il cambio di protagonisti.

Se nelle prime due stagioni al centro delle vicende c’erano gli stucchevoli Biancaneve, il suo principe e la loro figlia perduta, nelle prime puntate di questa il riflettore si posta su un immenso Tremotino, estremamente umano, lacerato dai sensi di colpa, meno cinico (forse) e ancora più determinato. Suo degno avversario è il più subdolo e manipolatore Peter Pan mai visto, pronto a sfruttare i punti deboli dei nostri eroi per i propri scopi ancora poco chiari, capo di una tribù di fedelissimi e selvaggi ragazzi. Concludendo, se la serie manterrà queste premesse (no, non ci credo nemmeno io mentre lo scrivo. So che arriverà la deriva buonista e il bene trionferà in un mare di zucchero filato), la terza stagione si preannuncia come la migliore della serie.

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