Le personalità più strane del mondo antico: Commodo

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Non voglio insinuare che le personalità più strane del mondo antico fossero solo romane, o solo imperatori romani: ma si deve riconoscere una certa predisposizione all’insanità mentale per coloro che rivestirono la più alta carica durante l’Età imperiale. Come fu per Lucio Aurelio Antonino Commodo, della dinastia degli Antonini, regnante dal 180 al 192 d.C. Paragonato a Nerone e Caligola per la follia e a Domiziano e Tiberio per la crudeltà gratuita, affascinato dalla figura dell’imperatore-dio orientale, fu l’ennesimo personaggio stravagante e poco amato dal popolo che sedette sul trono di Roma.


Figlio dell’imperatore filosofo Marco Aurelio, dopo la morte dei fratelli e del padre nel 180 Commodo prese in mano le sorti di Roma a soli diciannove anni. Marco Aurelio gli garantì una buona istruzione e tenne sempre a cuore che un figlio legittimo prendesse il suo posto, cosicché quel 17 marzo 180, giorno della morte di Marco Aurelio e dell’ascesa di Commodo, fu visto dai romani come un presagio di buona fortuna. Ma non fu così. Ben presto il giovanissimo regnante mostrò la sua vera indole. Scrive Svetonio nella Historia Augusta, nella parte riservata a Commodus Antoninus (documento che da ora in poi citerò): “Fu chiamato anche l’Ercole romano, perché aveva ucciso delle fiere nell’anfiteatro di Lanuvii: aveva infatti l’abitudine di uccidere belve in patria“. Per i Romani era scandaloso che un imperatore si abbassasse a fare il gladiatore, figura considerata tra i ranghi più bassi della società. “Arrivò alla follia di pretendere che la  città di Roma fosse chiamata Colonia Commodiana […] Nell’occasione in cui presentò in senato la proposta di  fare Roma “commodiana”, non solo il senato approvò la proposta per prenderlo in giro, ma chiamò anche se stesso Commodiano“.

Ma Commodo non fu famoso soltanto per le sue stravaganze teatrali: la sua crudeltà restò nella storia. “Uccise con fichi avvelenati Motileno, prefetto del pretorio; Nella sua passione per la crudeltà obbligava i sacerdoti di Bellona a tagliarsi davvero un braccio. I sacerdoti di Iside li obbligava a percuotersi a morte il petto con le pigne. Portando in giro la statua di Anubi, feriva gravemente con quella le teste dei seguaci di Iside“. E se ciò non bastasse: “Prendeva uomini zoppi o impossibilitati a camminare travestendoli da giganti e ricoprendoli dalle ginocchia in giù di drappi in forma di drago, e poi li uccideva con le frecce“; “Dava in pasto alle fiere chi lo scherniva“; “Se qualcuno diceva di essere disposto a morire per lui, lo faceva precipitare suo malgrado da una rupe“; “Fece sbudellare un uomo grasso per rovesciarne fuori tutte le viscere. Chiamava monopodi o orbi quelli a cui aveva fatto togliere un occhio o spezzare una gamba“.

È facile capire come l’impopolarità di quest’uomo crescesse ad ogni evento del genere. Il senso di onnipotenza dell’imperatore si spingeva sempre più oltre: “Si fece presentare su un piatto d’argento due gobbi cosparsi di senape, e subito li promosse e li fece ricchi“; “Si accostava ai templi degli dei macchiato da stupri e da sangue umano“. Questo atteggiamento non fu più tollerato dal Senato, che nel 192, esasperato dai comportamenti efferati e gratuiti del re ordì una congiura. Alla vigilia dell’insediamento dei nuovi consoli (che probabilmente sarebbero stati uccisi dallo stesso) il 31 dicembre 192 si organizzò un banchetto, durante il quale i congiurati avrebbero dovuto avvelenare Commodo. Ma egli, sentendosi appesantito dal pasto, vomitò: così i senatori chiesero a Narcisso, maestro dei gladiatori, di uccidere l’imperatore in cambio di una ricompensa. Nel bagno più tardi si compì la congiura: non poteva più scappare dalla morte.

Commodo fu dichiarato nemico pubblico e si decretò la damnatio memoriae: nonostante moltissime statue furono distrutte, a tutt’oggi si conservano oltre cinquanta ritratti. Poco dopo, tuttavia, Settimio Severo dichiarò l’apoteosi dell’ex nemico pubblico per nobilitare la sua famiglia, bloccando il processo di damnatio e rendendolo divus: a prova di quante fossero le contraddizioni e le stranezze a Roma. Commodo fu l’ennesimo esempio di disfacimento e dissolutezza: nessun imperatore, salvo rare eccezioni, pareva interessarsi non solo del bene dello Stato ma dello Stato stesso. Il lento declino dell’urbe pareva ormai inesorabile, grazie soprattutto a personaggi di tal fatta.

Giulia Bitto