Everest, da 60 anni sul tetto del mondo

Edmund Hillary e Tenzing Norgay
60 anni e 1 giorno: tanto è trascorso dal momento in cui l’uomo ha varcato l’ultimo limite. Era il 29 Maggio 1953 e due esploratori, il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay, arrivavano finalmente a quota 8848 metri s.l.m., dove nessuno prima di loro era mai ginto. L’Everest, la montagna sacra (in tibetano il suo nome è Chomolangma, “Madre dell’Universo), è violato, l’intero pianeta è guardato dall’alto in basso dalla coppia più strana che il destino ci potesse riservare: da un lato un apicoltore neozelandese, alpinista per passione, dall’altro un tibetano doc, nato lì dove, all’epoca, solo pochi stranieri avevano messo piede. Staranno in cima per 15 minuti: giusto il tempo di scattare delle foto, piantare una croce, porgere delle offerte agli dei e poi riscendere, prima che l’ossigeno finisca. Tanto basta per entrare nella leggenda.
Hillary e Norgay facevano parte di una spedizione di oltre 15 elementi guidata dal colonnello John Hunt e finanziata dal governo britannico, volenteroso di riscattare i tragici e fallimentari tentativi degli anni ’20, funestati dalle morti di 7 sherpa nel 1922 e degli alpinisti Mallory ed Irvine nel 1924. Da quel memorabile 29 Maggio sono passati ormai 60 anni e innumerevoli eventi, ma non è cambiata la sostanza di un’impresa che ha profondamente cambiato il nostro modo di pensare la realtà.
Diverso, e non del tutto imputabile ai due eroi, è divenuto invece il rapporto con la montagna, ormai preda di vere e proprie cordate turistiche che portano sia al sovraffollamento (!) di uno dei luoghi più inaccessibili del pianeta sia al frequente perimento dei più inesperti. Quale dunque la nuova strada per l’Everest? Due, forse, le soluzioni: da un lato il rispetto per la montagna, invocato a più riprese dal mitico Reinhold Messner; dall’altro, la ricerca di nuove vie, sempre più in alto, sempre più al limite, come nel caso del catanese Angelo D’Arrigo (1961-2006), primo uomo a sorvolare il Tetto del Mondo in deltaplano: a questo grande italiano va dunque il nostro ricordo, nell’anniversario della “caduta” dell’ultimo mito.

Roberto Saglimbeni