Anime e Manga: l’influenza giapponese sulla produzione Hollywoodiana

L’ultimo decennio ha conosciuto un’esplosione di popolarità dell’animazione giapponese (anime) negli Stati Uniti. Muovendo da serie come Sailor Moon (1992) e Pokemon (1997) durante la metà degli anni Novanta, sino a Yu-Gi-Oh! (1998), Dragon Ball(1986), Full Metal Alchemist (2003) e Naruto(2002) nel corso degli anni 2000, l’anime è diventato una parte fondamentale dei media mainstream negli Stati Uniti e nel mondo occidentale. Gli studiosi di scienze della comunicazione, sociologia e antropologia, hanno recentemente indagato il fenomeno compiendo studi sugli elementi fantastici di anime e videogiochi, ricerche sull’ibridismo visivo dei corpi femminili e maschili in anime e fumetti, approfondendo il confronto visivo tra le produzioni occidentali e quelle giapponesi, ed analizzando il modo in cui i testi manga e anime sono consumati -quale prodotto- a livello mondiale. tutto questo, sempre da una prospettiva antropologica e sociologica.

Samurai Champloo
In un’epoca in cui la tecnologia dell’informazione genera nuove forme di media ad un ritmo esponenziale, diventa sempre più difficile tenere il passo con l’accelerazione di intertestualità, frutto dell’intreccio di contenuti diversi(come manga, anime, videogiochi e film live-action) e con la pletora di nuove strategie narrative e immagini prodotte negli anime e nei media. Sarebbe davvero impensabile poter apprezzare appieno Samurai Champloo (2004), senza prima aver visto anime create dal regista Shin’ichiro Watanabe ed altre anime Samurai, o conosciuto la scena musicale underground in Giappone durante la fine degli anni Ottanta!

Ghost in the Shell
La psicologia del personaggio è diventata una componente importante di sviluppo della storia nell’opera giapponese, ed è ancora più netta quando i manga vengono adattati in animazione. Mentre l’animazione in Occidente si focalizza sull’azione esagerata di animali umanizzati – si vedano ad esempio i cartoni animati della Disney, Looney Tunes, Warner Bros e le varie serie di Hanna Barbera -, l’animazione giapponese ha insistito sul suo stile statico, facendo per lo più ricorso a personaggi umani. Gli anime si concentrano sulle lotte emotive del protagonista, rese manifeste (ed enfatizzate) con le mutevoli espressioni facciali (ad esempio gli occhi esagerati) ed i movimenti del corpo. Uno degli anime più popolari nel mercato globale è Ghost in the Shell (1995) di Mamoru Oshii, opera che scava in profondità nel mondo simulato della psicologia umana e della realtà (più di qualsiasi altro anime prima del 1995), in cui l’eroina, Kusanagi è un cyborg che lotta con la sua identità. La storia è ambientata in un futuro distopico in cui la tecnologia agisce quale strumento di manipolazione degli umani, attraverso la ri–programmazione della memoria, denominata “Ghost”.

Dal film Blade Runner
Ghost in the Shell sarebbe stato influenzato dal film Blade Runner, sia da un punto di vista visuale che narrativo, e ricorderebbe anche Total Recall (1990). Con la cascata di dati binari verdi a riempire lo sfondo nero nella scena di apertura, sembra di guardare il monitor di un vecchio computer. L’universo gotico digitale, con il suo buio infinito dato dallo sfondo cupo, porta a sentirsi indirettamente parte di quel flusso di dati. Ghost in the Shell è un’amalgama di concetti astratti di spazio, tempo, convinzione e ricordi, non necessariamente logici né limitati da una percezione sequenziale. Esattamente questo immaginario avrebbe influenzato il film The Matrix (1999) – come testimoniano le immagini visive e l’argomento trattato -, la cui narrazione ruota attorno al tentativo di risvegliare il potere messianico di Neo, il protagonista, perché possa salvare la razza umana. La falsa realtà creata dalle macchine è uno strumento di inganno per far credere agli esseri umani di esistere in un mondo che assomiglia alla società americana fine anni Novanta.

Un altro esempio di influenza visiva di Ghost in the Shell sui media statunitensi risale al 2000 ed è rintracciabile nella serie televisiva Fox, Dark Angel, creata da James Cameron. Non solo Dark Angel utilizza tropi simili a quelli che compaiono in più anime di fantascienza – un universo distopico, questioni di identità ed emozioni ambigue nei confronti della tecnologia – ma anche condivide stili visivi e di impostazione, peraltro apparsi anche in spot pubblicitari statunitensi, film e video musicali alla fine degli anni ’90. E per quanto riguarda i videogiochi giapponesi? Qual è la loro relazione con la tecnologia e la produzione digitale occidentale?Precedentemente conosciuti per il loro immaginario piatto in 2D, i videogiochi giapponesi sono diventati molto popolari negli Stati Uniti sin dal 1980, imponendosi come uno dei principali passatempi intrattenimenti, superando addirittura la popolarità del film.

Videogioco Street Fighter 
Uno dei primi, amatissimi, videogiochi è stato Street Fighter (1987) – un rivoluzionario gioco arcade di combattimento della Capcom. In effetti, potrebbe essere stato questo incredibile successo, registrato soprattutto negli anni ’80 e ’90, a permettere agli anime di diventare una parte fondamentale della tradizionale culturale popolare degli Stati Uniti. Non solo un numero crescente di titoli anime ha guadagnato la popolarità in TV, ma gli stessi videogiochi hanno conquistato il cuore di centinaia di migliaia americani. Dato che i film hollywoodiani contemporanei sono fortemente orientati alla computer grafica, l’integrazione di immagini di anime e di approcci tecnologici potrà solo accelerare nel prossimo futuro. Ma a quegli spettatori americani che non hanno familiarità con la cultura giapponese, e che da essa tenderanno a dissociarsi, sarà ancora più difficile far riconoscere e apprezzare le forme visive originali e la sensibilità culturale Orientale.