Assassin’s Creed IV: Black Flag è davvero la rinascita del brand? – Recensione videogame

Cosa ci viene in mente quando pensiamo ai pirati?
Di certo la popolare saga a tema della Disney, “rea” di aver un po’ comicizzato e romanzato il mondo piratesco influenzando la nostra percezione di esso ed estraniandolo dal contesto storico, aggiungendovi tra l’altro degli elementi soprannaturali.
A riparare questa falla ci pensa Assassin’s Creed IV: Black Flag che, come se non bastasse, ristora il buon nome della serie che nel tempo, a causa di una politica scellerata di Ubisoft, ha decisamente perso molto del suo sex appeal.
La narrazione parte in medias res con il nuovo protagonista, Edward Kenway, intento a sopravvivere a un attacco navale dal quale riesce a salvarsi naufragando su un’isola. Lì riesce a catturare ed uccidere il suo inseguitore, un assassino non noto, indossando i suoi abiti e impersonandolo per ottenere una probabile, lauta, ricompensa.
E’ chiaro che da quel momento in poi il nostro si troverà a fronteggiare innumerevoli situazioni pericolose e delicate poiché al di fuori -almeno in un primo momento- della sua conoscenza e tutto per soddisfare la sua immensa sete di denaro.
Edward diventa un assassino pur non sapendo nulla del credo, elemento che lo distanzia notevolmente dagli altri avi di Miles i quali, in un modo o nell’altro, vengono istruiti alla persecuzione di obiettivi idealizzati come la pace e la libertà, agendo come supereroi integerrimi e silenziosi.
Il suo carisma, la sua irruenza giovanile e la voglia di diventare un pirata a tutti i costi gli attirano le simpatie dei giocatori, certamente delusi dal precedente “collega” Connor che ritengo -a buona ragione- il peggior protagonista della serie.
La storia, dapprima sbiadita, che attornia il personaggio di Kenway sfocia in un percorso di maturazione ben studiato e sufficientemente realistico. 
La vita del pirata non consiste solo nell’ubriacarsi e cantare a squarciagola al chiarore di luna: la libertà comporta rischi e scelte difficili che possono compromettere la psiche di un uomo.
Il protagonista scoprirà a sue spese che prestare giuramento alla bandiera nera con teschio significa lasciarsi alle spalle il passato ed intraprendere un percorso senza ritorno disseminato di disonestà, peripezie, stenti e morte ed è proprio qui che risiede la chiave di lettura dell’intera narrazione, più profonda di quanto sembri ad una prima analisi.
Reputo ottima la scrittura e sceneggiatura della trama principale di AC4 o almeno della parte relativa all’Animus, giacché le sezioni all’interno dell’Abstergo Entertainment (una sorta di parodia della reale Ubisoft Montreal che produce videgiochi basandosi sui ricordi ottenuti tramite DNA) mi sono sembrate brevi e poco approfondite, se non eccessivamente lineari.
Si sente quindi la mancanza di un corrispettivo contemporaneo all’antenato, un personaggio in grado di accompagnare lo sviluppo delle vicende da cui il primo Assassin’s Creed prende le mosse; non apprezzo il modo a dir poco taccagno con cui gli sviluppatori hanno dosato le informazioni e i colpi di scena relativi al mondo di Desmond, in quanto appare limpido che si tratti del classico allungamento di brodo indirizzato a produrre un capitolo annuale.
Il gameplay si diversifica a seconda delle locazioni in cui stanziamo: mare o terraferma.
Le sezioni marittime costituiscono un’evoluzione di quanto visto nel capitolo precedente e godono di sostanziali migliorie a livello meccanico e gestionale.
Sarà infatti possibile affrontare le navi nemiche attraverso un sistema divertente ed appagante che prevede un primo approccio di fuoco mirato via cannone (ne esistono ben tre tipi), mortaio, polena e altro armamentario di bordo e un arrembaggio durante il quale decimare l’equipaggio nemico con il supporto dei nostri uomini e una breve cutscene finale dopo cui viene chiesto se depredare il veliero avversario riparando i danni subiti, aggiungendolo alla propria flotta o riducendo la notorietà.
Il sistema di progressione di Edward e della sua nave, la Jackdaw, è altresì profondo e ben congegnato: l’uno acquisirà armature, armi e arnesi ottenibili anche tramite caccia di animali selvatici, l’altra potrà contare su numerosi e cospicui rinforzamenti -talora obbligatori- che faciliteranno gli abbordaggi e le conquiste dei forti navali. 
Che dire? Finalmente i soldi servono davvero a qualcosa.
Sarà infine possibile avventurarsi in fondo al mar per scoprire tesori nascosti all’interno di vascelli affondati, facendo attenzione alla mancanza di ossigeno e ai predatori dell’oceano che il giocatore potrà anche catturare utilizzando scialuppa e arpioni.
Il gameplay terrestre, tra i due, è quello che apporta il minor numero di migliorie e novità alla formula della serie.
Una volta attraccata la Jackdaw al porto di una delle città principali o presso la spiaggia di un’isola disabitata, il giocatore noterà dei cambiamenti sostanzialmente scenici e folkloristici poiché le missioni (primarie e secondarie) ricalcano nella quasi totalità quelle dei precedenti capitoli, se escludiamo l’assalto ai magazzini mercantili o dei puzzle non proprio complessi.
La sensazione rimane comunque positiva, specie rispetto a un AC3 zeppo di insipide quest alternative e lunghissimi, quasi interminabili, momenti morti che annacquavano e rendevano noiosa l’esperienza di gioco.
Il combattimento è stato, per certi versi, migliorato e fluidificato, permettendo ad Edward di fronteggiare più nemici senza avere la peggio e ridurre il feeling di frustrazione e legnosità che si avvertiva nel predecessore.
L’estrema facilità con cui ci si libera dei nemici, però, indirizza i player più esperti ad un approccio stealth che viene valorizzato dal consueto ed eccessivo numero di ostili da fronteggiare, sebbene l’aggiunta di dardi e di pistole multiple permetta di assassinarli con facilità e senza sporcarsi le mani.
Nota negativa per quanto riguarda il parkour, impreciso ed irresponsivo come mai prima d’ora e a causa del quale ho dovuto ripetere più e più volte delle missioni di pedinamento che richiedevano la massima discrezione.
Boccio anche l’intelligenza artificiale, a tratti disarmante nella sua deficienza ed inattività ma credo che questo sia un problema ormai assodato, quindi non mi sento di rigirare il dito nella piaga.
Un pollicione in su, invece, per le ambientazioni ispiratissime e fedeli, capaci di elevare l’immersività all’ennesima potenza e risvegliare il pirata sopito dentro ognuno di noi. Ad alcuni potrà anche sembrare una piccolezza ma le canzoni (sbloccabili) intonate dalla ciurma durante i viaggi in mare, oltre che i rudimentali musicisti presso le taverne, costituiscono uno tra gli elementi di contorno più caratteristici del gioco, che finalmente guadagna quanto perduto negli anni in termini di personalità e impatto.
Anche i personaggi secondari -come Barbanera e Kidd- riescono a rimanere positivamente impressi nella mente del giocatore che finisce inevitabilmente con l’affezionarvisi e parteggiare per l’una o l’altra ragione morale bellamente esposta a suon di “yarrr” e parolacce.
Il gioco è inoltre ricchissimo a livello di contenuti da collezionisti e completisti (si richiedono circa 20 ore per la conclusione della trama principale e più di 50 per finirlo al 100%) grazie a ottime aggiunte come un gran numero di forzieri nascosti, testi storici, frammenti di Animus, mappe del tesoro e tanti altri oggetti utili.
L’esperienza del multiplayer risulta, infine, innovativa e gradevole. L’obiettivo principale consiste nello scovare ed assassinare l’avversario camuffato e nascosto tra i passanti prima che sia lui a farlo. Sebbene la skill non regni sovrana in un simile comparto multigiocatore, un’aggiunta del genere non può che accompagnare in modo convincente un titolo completo sotto ogni punto di vista.
Confesso che in un primo momento avevo etichettato Assassin’s Creed IV come un more of the same in stile Call of Duty: ebbene, una volta finito il gioco mi sono dovuto pesantemente ricredere.
Ubisoft ha svolto un eccellente lavoro di ottimizzazione tecnica anche su PC, mostrando la potenza di un motore sì antiquato ma capace di offrire un vero spettacolo persino agli occhi (e alle orecchie) dei più esigenti in questo ambito. Nonostante i fasti raggiunti con Ezio Auditore e il rinascimento italiano siano ancora inarrivabili, Edward e i suoi amici pirati donano nuova vita ad una saga che sembrava essersi definitivamente appiattita deludendo anche i fan di vecchia data i quali assisteranno nuovamente ad un susseguirsi di momenti epici ed emozionanti.
L’auspicio è che il publisher continui per la strada intrapresa con Black Flag e non lasci affogare uno dei brand più importanti sul mercato in un abisso di banalità, ripetitività e mediocrità, tutto in nome del dio denaro.

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