~*WARNING: spoilers!*~
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“Gallifrey falls no more” |
Il 23 Novembre è passato, ma non le emozioni che il Cinquantesimo di Doctor Who ha lasciato nei cuori degli whovians di tutto il mondo.
A detta di molti, questa volta Steven Moffat, lo sceneggiatore, ha superato se stesso, mettendo da parte i suoi trucchetti e le sue idee cervellotiche per rendere l’evento davvero memorabile. Ottima l’idea di risolvere la questione della Guerra del Tempo, di cui sentiamo parlare da tante stagioni, ma di cui, effettivamente, non si è mai capito niente di preciso. Abbiamo sempre e solo saputo che il Dottore aveva ucciso tutti i Dalek e i Signori del Tempo in un solo colpo per evitare che l’intero universo bruciasse, ma qual era stato il suo ruolo preciso in questo genocidio?
Moffat la risolve inserendo il Dottore della guerra, interpretato da un ottimo John Hurt, che decide di sacrificare la sua stessa gente, nonché la sua vita e il suo onore, per salvare il resto dell’Universo. Questo Dottore, che non si ritiene più degno di tale nome, ruba ai Signori del Tempo una delle armi più distruttive che esistono e decide di utilizzarla, ma quest’arma è così potente che è stata creata con una coscienza che dovrebbe aiutare nella scelta l’utente. Nel caso del Dottore, la coscienza prende la forma di Rose Tyler, compagna futura dello stesso, che, per cercare di convincerlo a non farlo, gli mostra i suoi futuri sé, creando dei portali che lo portano ad incontrarsi il Decimo e l’Undicesimo.
Per chi lo conosce, sa che il Dottore può risolvere praticamente tutte le situazioni difficili in cui si trova, perciò si può facilmente immaginare come ben tre sue versioni possano addirittura escogitare un piano per salvare sia Gallifrey che l’Universo e ingannare il tempo, facendosi “aiutare” anche dagli altri dieci Dottori. Epica la scena in cui tredici TARDIS, compresa quella del prossimo Dottore, Peter Capaldi, appaiono intorno al pianeta, facendo quasi venire un doppio infarto al Generale gallifreyano nella Sala Tattica, che già sopportava a malapena una sola reincarnazione alla volta.
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Clara che passa sotto un orologio che segna le 17.16, orario a cui andò in onda il primissimo episodio il 23 Novembre 1963 |
Molto carine le citazioni da episodi precedenti, fra tutte quella nelle scene finali in cui il Decimo dice “I don’t want to go” (non voglio andare via) autocitando la frase che dirà nel futuro durante la sua rigenerazione, e da apprezzare anche alcune sottili battute, come il Dottore della Guerra che dice di avere una “crisi di mezz’età”, riferendosi appunto ai 50 anni del programma. Inoltre davvero inaspettati i cameo di Peter Capaldi, i cui occhi si vedono per una frazione di secondo durante la scena dei tredici Dottori nelle tredici TARDIS, e di Tom Baker, l’amatissimo quarto Dottore che, per l’occasione, interpreta il “curatore” del museo che, mentre parla con l’Undicesimo, lascia intendere di sapere chi si ritrova davanti e di essere la stessa persona.
Anche la cura dei dettagli di continuità è impressionante, oltre alle solite gag con il fez dell’Undicesimo, infatti, rivediamo la sciarpa del Quarto nelle mani di una delle scienziate dello UNIT (un’agenzia segreta inglese che si occupa di ciò che riguarda il Dottore e gli altri alieni), oppure il problema di alcuni congegni troppo complicati da usare che necessiterebbero un “grande bottone rosso” per essere avviati, richiesto in questo caso dal Dottore della Guerra, ma successivamente (nella continuity, ma precedente se si parla di episodi) anche dall’Undicesimo, per poi passare all’ampliamento del racconto della storia d’amore fra il Decimo e la regina Elisabetta I, citato nelle ultime puntate della quarta stagione, e a degli oggetti creati dal Dottore che fanno “ding”, come nella prima puntata con gli Angeli Piangenti.
Un plauso va anche agli attori, sia vecchi che nuovi, che hanno preso, o ripreso, i loro personaggi con il cuore e si sono impegnati per dare il giusto spessore al loro ruolo. Belle le interazioni fra i tre Dottori, che fra battute pungenti e riflessioni, spostandosi da un periodo storico ad un altro, riescono finalmente ad alleggerire il loro carico emotivo causato dalla distruzione che avevano portato. Buona anche la scelta delle “spalle”, anche se tutti si aspettavano che Billie Piper sarebbe tornata nel ruolo di companion, più che di interfaccia olografica di un’arma, lasciando con l’amaro in bocca chi già si pregustava una riunione fra il Dottore e la sua amata Rose, e complimenti a Jenna-Louise Coleman, la cui Clara è riuscita ad entrare nel cuore di tutti anche dopo la partenza dell’amatissima Karen Gillan, cosa che, ad esempio, non era riuscito immediatamente a Freema Agyeman, che con la sua Martha Jones aveva dovuto “sostituire” proprio la Rose della Piper.
Non tutto, però, è andato liscio. Infatti, il doppiaggio italiano, come del resto quello dell’intera serie, ha lasciato un po’ a desiderare. Non è stata tanto una scelta delle voci assegnate, quanto le scelte di traduzione. È evidente che non tutte le formule grammaticali inglesi possono essere rese alla perfezione, e neanche le parole inventate, ma tradurre “timey wimey thing” con un “problemino al tempino” in stile Ned Flanders dei Simpsons suona alquanto ridicolo, per non parlare di alcune frasi che, tradotte, perdono completamente il senso che gli era stato attribuito.
Tirando le somme, comunque, è stato un grandissimo evento a livello mondiale che ha avuto milioni di ascolti e ha addirittura ricevuto un Guinness World Record per essere stata la serie tv con la più vasta trasmissione in contemporanea di sempre, essendo stata passata in diretta in ben 96 Paesi di tutti i continenti. Infiniti complimenti, quindi, a Russell T. Davies, prima, e Steven Moffat, dopo, visto che, in questi ultimi nove anni, hanno saputo rilanciare alla grande questo storico telefilm, ricostruendo e ampliando il grande seguito che aveva prima, e sono arrivati a questo Cinquantesimo Anniversario in cui, con questo episodio Speciale, come ha detto proprio il buon Steven, il Dottore, dopo anni passati ad evitare che gli alieni si impossessassero del mondo, è sceso in campo e l’ha conquistato lui stesso.
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