L’uomo con i pugni di ferro – Recensione Film

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Le buone intenzioni (e le buone premesse) c’erano tutte: tantissima passione nel progetto da parte di RZA, il patrocinio di Tarantino, un buon budget e un discreto cast; eppure i pugni di ferro risultano deboli come un montante sferrato da una pluricentenaria.

L’uomo dai pugni di ferro è il racconto di un fabbro afroamericano, istruito in giovane età da dei monaci buddisti nelle arti marziali, che in una Cina feudale si guadagna da vivere nella speranza di poter un giorno riscattare la sua amata, Lady Silk, che è tenuta in schiavitù in un bordello. Ma l’arrivo del mercenario inglese Knife causa un’escalation di violenza dovuta a un regolamento di conti tra clan, che porteranno il fabbro a dover difendere se stesso e il suo villaggio dalla prepotenza di Silver Lion, un ambizioso signore della guerra.
Uno dei difetti principali del film è l’assoluta assenza di una qualsiasi soluzione di continuità, dovute a una confusa regia di RZA, che distribuisce quasi casualmente le sequenze filmate, seguendo più una sorta di “istinto passionale” (che accompagna tutto il film), piuttosto che un preciso disegno razionale. La pellicola è fortemente influenzata dalla cultura Hip Hop, che stride non poco con l’ambientazione feudale della vicenda, creando un ibrido dalle sembianze quasi grottesche, in cui il classico genere Kung Foo orientale si mischia all’action movie americano, il tutto condito da una spruzzata di fantasy che dona alla pellicola connotati a tratti comici!

Armature metalliche che lanciano piogge di coltelli volanti, arti sostituiti da complicatissimi marchingegni bellici, salti volanti e schizzi di sangue chilometrici… Non c’è fine alla fantasia di RZA, e non sembra esserci fine neanche per i riferimenti e le citazioni cinematografiche (davvero troppe), dai combattimenti di Bruce Lee nelle camere a specchi agli splatter movie di serie B anni 80, un pesante fritto misto di riferimenti cinematografici da mal di testa, reso ancora più intricato dalla bulimica frammentazione del film, che accompagna lo spettatore per tutti i 107, interminabili minuti.
In conclusione si può certamente affermare che il primo lavoro di RZA alla regia è assolutamente deludente, malgrado il patrocinio di Tarantino, che comunque non partecipa mai attivamente (e si vede) alla realizzazione del film. Deludenti anche le prove degli attori (soprattutto Lucy Liu, in costante declino da diversi anni) e la fotografia, molto scontata (i personaggi vengono perennemente presentati su sfondo nero stile “tempio shaolin”). L’uomo dai pugni di ferro non emoziona, non lascia traccia, è un film impalpabile che si trascina attraverso assurdi combattimenti all’ultimo sangue, frenetiche dinamiche pseudo/feudal/Hip Hop, e  davvero poco altro.

Francesco Bitto