10 canzoni per Nelson Mandela

Il 5 Dicembre 2013, Nelson Mandela, uno dei più grandi leader politici della nostra epoca, è venuto a mancare all’età di 95 anni.
Nel corso degli anni, molte sono state le canzoni a lui dedicate da parte di artisti famosi.
Ho deciso, per salutarlo un’ultima volta, di elencarne 10 tra le più note in questo articolo:

1. Free Nelson Mandela, The Specials

2. Long walk to Freedom, Bono, Joe Strummer and Dave Stewart

3. Give Me Hope JoannaEddy Grant
 

4. Ordinary Love, U2

5. Freedom now, Tracy Chapman

6. Mandela, Santana

7. Black President, Brenda Fassie

8. Asimbonanga, Johnny Clegg

9. Africa Unite, Mandel’Afreeque

10. Mandela Day, Simple Minds

La letteratura di Nelson Mandela

Nella folla di cinici appena scoperti che riempie la rete la reazione sarà questa: “ecco un altro articolo su un personaggio famoso appena scomparso”. Sì, un personaggio la cui dignità e nobiltà d’animo deve essere in qualche modo celebrata.
Nelson Mandela è morto ieri. La maggior parte dei suoi 95 anni è stata spesa nel difendere quei diritti riassunti così bene dal suo colore di pelle e dal suo viso così inconfondibilmente simbolico. 95 anni che ha spesso rischiato di non raggiungere a causa della continua violenta oppressione, degli arresti, dei lavori forzati, ma in cui non ha mai smesso di lottare per la libertà della sua gente.
Chi più e chi meno conosce la sua storia grazie alla potenza dell’informazione. Giornali, televisioni, internet, ma anche le discussioni a scuola sui grandi temi come l’Apartheid ci hanno svelato chi era Madiba.
Un racconto per forza di cose sommario che non può restituire per interno la grandezza di questa figura fondamentale per la storia dell’umanità.
Per conoscere meglio una persona bisogna attingere direttamente alla fonte: i libri scritti da Nelson Mandela stesso. Lungo cammino verso la libertà è l’autobiografia iniziata in prigione e pubblicata nel 1994, in cui ripercorre le tappe della sua vita dall’infanzia, alla militanza nell’ANC, l’esperienza, appunto, della prigionia, l’assegnazione del premio Nobel per la pace nel 1993, fino alla sua elezione come primo presidente democratico in Sud Africa.
Io, Nelson Mandela. Conversazioni con me stesso ci porta nel suo archivio personale composto da lettere, meditazioni, conversazioni private, diari e appunti. Mandela si mostra per quello che è: un uomo comune che combatte per se stesso e per gli altri. Non a caso una delle sue frasi storiche fu: “I stand here before you not as a prophet, but as a humble servant of you, the people”.

Mettendo da parte ogni dato realistico, Nelson Mandela ci trasmette il suo bagaglio di esperienze per mezzo di racconti contenuti in Le mie fiabe africane. Le storie antiche della sua terra in cui, come in ogni fiaba, personaggi tipizzati – umani o animali che siano – danno vita a storie esemplari. Lo sfondo è, ovviamente, l’Africa in tutta la magia che la rappresenta e che Mandela, qui in forma molto più morbida rispetto al solito, non ha fatto che difendere per tutta la sua vita.
Il mare di parole pronunciate in tutta la sua vita si scaglia a ondate potenti durante i numerosi discorsi che hanno plasmato la figura pubblica di Mandela. Parole per il mondo è una raccolta di citazioni che ripercorrono oltre sessant’anni di attività. La riscrittura vera e propria dei suoi discorsi, però, si ha con Un nero nei tribunali bianchi, in cui egli conferma la strada di odio nei confronti della politica segregazionista dell’Apartheid in una autodifesa di fronte ai suoi persecutori.
La violenza e la legge è un’altra autodifesa pronunciata nel processo di Rivonia che lo avrebbe condannato all’ergastolo il 20 aprile 1964.
Sono tantissimi i libri che parlano di questo grande uomo e tanti, specialmente dopo la sua morte, ne verranno. Di sicuro non potranno che arricchirci.

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Addio a Mandela, eroe della pace

Nessun tributo, nessun onore, nessun lutto potranno rendere giustizia al vuoto incolmabile che Nelson Mandela, scomparso pochi minuti fa, lascia al mondo intero. Leader del Sudafrica multietnico uscito dalla melma dell’apartheid, simbolo della lotta per la libertà e la giustizia, la stella più luminosa del Continente Nero se n’é andata umilmente, come visse e operò, lasciando però dietro di sé un immortale scia di grandezza che solo poche altre figure della Storia possono osservare senza impallidire. Prese la sua nazione nel momento peggiore, marcì in prigione, fu saggio capo e fedele compagno di ogni sudafricano, consegnò il paese alla modernità, donò a tutti noi la speranza nel mutamento, la fiducia in un genere umano che, al di là delle atrocità, ha in sé il germe del migliorarsi, giorno per giorno.  
L’annuncio della morte del grande leader è stato dato pochi minuti fa da uno dei suoi successori, l’attuale presidente sudafricano Zuma, con quel fare commosso e solenne che si riserva solo gli addii a un uomo unico. Era malato da tempo, aveva già più volte rischiato di morire, ma per uno come lui, anche a 95 anni, tutto questo era poco più che ordinaria amministrazione: chissà quante volte ci era stato vicino nei 26 anni a Robben Island. Ma stasera, per l’ultima volta, il suo cuore ha danzato sul sottile filo tra la vita e la morte, cadendo, infine, al di là della staccionata, dove neanche i più fedeli hanno potuto seguirlo. Come nel mito, l’uomo che muore oggi diventa simbolo, leggenda, imperituro monumento alla libertà dei popoli: perché nessuno potrà mai scordare quello che Nelson Mandela ha fatto in Sudafrica e quello che ha dimostrato al mondo intero. Un altro eroe  del ‘900 compie il grande passo: addio Madiba, ci mancherai. 

Separate Amenities di Vincent Bezuidenhout: Il paesaggio modellato per imporre il concetto di Apartheid

Separate Amenites“, un’opera che esamina da vicino come il paesaggio in Sud Africa venne realizzato con lo scopo di imporre il concetto di apartheid.

In origine, infatti, gli spazi ricreativi funzionavano come strutture separate per gruppi razziali differenti di qualsiasi livello sociale, strutture come spiagge, parchi, passaggi pedonali e piscine.

Esplorando questo panorama, costruito attraverso mezzi psicologici, politici e sociali, si può vedere come l’alterazione della sua struttura fisica implementi il concetto di controllo e separazione.

Si può vedere come un sistema politico corrotto abbia dato spazio ad ambiguità, incongruenza e fallimento definitivo, attraverso la segregazione razziale.

La filosofia della separazione delle strutture riflette chiari messaggi  di controllo, paura e potere, elementi che oggi mostrano, le idee e le azioni dei realizzatori di quel sistema.

Questo è uno dei tanti esempi di come l’ideologia abbia la capacità di modellare tutto quello che ci circonda, nonostante la fine dell’apartheid quelle strutture hanno lasciato un segno indelebile che, secondo il critico d’arte Okwui Enwezor sono “un unico esempio dello storico fallimento dell’immaginazione morale in sud africa”.

Il padre di questa opera è Vincent Bezuidenhout un visual artist nato a Bloemfontain in Sud Africa.

Ha ottenuto un master nelle belle arti all’università di Citta del Capo.

Bezuidenhout ottenne un finanziamento dalla  “Tierney Fellowship” potendo così esporre Separate Amenities alla “Whatiftheworld gallery” nel 2011.

Nel 2013 ricevette una borsa di studio per la partecipazione al “Photoglobal Programme” alla scuola di arti visive di New York.

Lavorando principalmente attraverso la fotografia il suo lavoro consiste in una ricerca intensiva collegata con la storia, la politica e il potere legati principalmente al paesaggio.

Bezuidenhout attualmente vive e lavora tra Citta del Capo e New York.

NY, al via il grattacielo dell’apartheid. Polemiche sulla ‘Porta dei poveri’

Vivere a Manhattan vale l’umiliazione di non essere uguali agli altri? Esplode la polemica negli States per colpa di un grattacielo, costruito dalla ditta Extell, letteralmente tagliato a metà tra ricchi e poveri: ai primi, cui sono destinati i piani alti, è dedicato un apposito ingresso e la vista lato fiume, ai secondi è invece riservata una porta sul retro, ascensori separati, panorama ristretto. I primi 5 piani, infatti, sono stati costruiti appositamente “per poveri”, in modo da poter essere concessi con affitti calmierati, mentre i restanti 33 sono dati in pasto al libero mercato, coi prezzi normalmente in vigore in una delle zone buone della Grande Mela. Ma sul progetto della Extell grava ancora l’assenso o meno del dipartimento urbanistico di New York, nonché le critiche dei media inferociti: se da un lato la concessione di appartamenti a prezzi calmierati serve a far ripartire il mercato immobiliare, dall’altro la scelta di separare gli acquirenti in base al censo sembra tradire lo spirito intimo di un provvedimento sociale che ha già trovato importanti applicazioni in altre parti della città, ad esempio a Brooklyn.

Ma chi, al giorno d’oggi, è ritenuto talmente povero da poter accedere ai prezzi agevolati del grattacielo al 40 di Riverside Boulevard? La risposta può impressionare: negli States è oggi ritenuta povera una famiglia con un  reddito annuo inferiore a 52000 dollari (all’incirca 39000 euro), un single con meno di 37000 dollari (26000 euro circa), roba che in Italia quantificheremmo come “ceto medio”, con un guadagno di quasi 3000 euro al mese. E, al netto del costo della vita all’ombra della Statua della Libertà, il reddito medio italiano è di 19’000 euro, per non parlare di chi vive con poco più di 400 al mese. Segno, non ce ne vogliano i poveri di Manhattan, che la crisi non è uguale per tutti.
Roberto Saglimbeni