Articolo da non prendere troppo sul serio; ovviamente il concetto è serio, però viene sdrammatizzato il più possibile.
Vi ricordate il vostro primo manga? Il mio fu ai tempi delle elementari, un volume di Hokuto no Ken (Ken il Guerriero), l’anime lo amavo alla follia, così come amavo i classici per i bambini degli anni ’90: Dragon Ball (che fu il mio secondo manga), Saint Seiya (I Cavalieri dello Zodiaco), i Time Bokam (Yattaman e Calendar Man su tutti), Tiger Man, Holly e Benji o anche la roba che trasmetteva MTV, come Excel Saga, Trigun o Cowboy Bebop. Bei tempi di un’infanzia che, più o meno tutti, abbiamo vissuto allo stesso modo.
I nostri genitori e moltissimi adulti, rivolgendosi a noi bambini, definivano queste passioni delle frivolezze che avremmo dovuto accantonare crescendo; i più allarmisti invece credevano che questa dose di violenza ci avrebbe corrotto e resi pericolosi. Pausa risate.
Molti validi condottieri li abbiamo persi per strada, altri non riuscirono ad andare oltre Goku e Holly e lasciarono la nostra causa… ma altri sono cresciuti e sono entrati nell’adolescenza fieri di questo amore.
Questa, per moltissimi, è stata l’età di Naruto e One Piece; moltissimi hanno fatto di Death Note la loro religione, mentre già alcuni si spostavano dalla massa cercando le serie subbate (audio giapponese e sottotitoli in italiano), altri ancora si son spinti verso le scan (file di immagini presi dal manga).
Si cominciano a delineare due atteggiamenti ben differenti nel fan adolescente:
– Da un lato abbiamo i super intenditori: coloro che grazie ad internet hanno recuperato milioni di serie, e che credono di aver abbastanza potere mentale e psicofisico per poter giudicare ogni manga o anime; alcuni di loro si considerano i portatori sani dell’eredità letteraria giapponese.
Tra di loro possiamo trovare sia chi dice “One Piece è ‘na commercialata assurda, doveva finire 492 capitoli fa!” ma anche quelli per cui “One Piece tocca le vette più alte della narrazione et animazione nipponica”. Chiunque rientri in questa categoria non ha veri e propri punti di contatto, è facile per loro toccare ogni scuola di pensiero, ma è anche vero che, finita l’adolescenza e le superiori, è più probabile trovare tra questi ragazzi i più grandi amanti dei manga.
– Dall’altro lato i sempliciotti che, possibilmente, vedono le stesse identiche cose degli altri, ma non gliene frega più di tanto di entrare in nessuna discussione, che magari hanno visto e rivisto Highschool of the dead ritenendolo una grandissima opera piena di contenuti, e che guardano i filler di Naruto col sorriso sul viso.
Una loro grande peculiarità è di essere maggiormente attratti, inversamente ai super intenditori, dalle serie più famose, evitando le scan o venerando quasi ogni serie stia avendo successo in quel momento.
Shingeki no Kyojin ci ha portato tantissimi esempi di ogni categoria, ma sicuramente quelli un po’ più sempliciotti si sono immediatamente fiondati a definirlo il più grande capolavoro mai esistito, come pochi anni fa con Gurren Lagann.
Loro sono sicuramente più divertenti, possono diventare la più grande gioia di ogni rivenditore di manga, gadget eccetera, dato che cercheranno di acquistare ogni singolo oggetto che ritrae la loro serie preferita.
Ma c’è un’ombra tetra che sorvola tutti noi, due oscuri figuri cercano di fare terrorismo intellettuale, usando degli approcci totalmente agli apposti. Sono gli estremi più totali delle due categorie: gli indie e i giappominavetecapito.
Gli uni sono pronti a criticare qualsiasi lavoro abbia successo, non importa se la gente li ami, se vendano cifre da capogiro e in più vincano qualsiasi tipo di premio: no, fanno schifo!
Una velocissima carrellata dei loro commenti preferiti: l’autore è un venduto, i personaggi femminili sono troppo erotici, il manga ha troppi combattimenti, il manga ha, ovviamente, pochi combattimenti, non viene fatta abbastanza retorica revanscista con picchi di leninismo integrato, ohibò!
Sono capaci di amare una serie finché essa non viene scoperta dal grande pubblico e, naturalmente, le serie doppiate in italiano fanno schifo a prescindere.
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Quanto amano dire “Baka” e “Kawaii”… |
Ammetto che quest’ultimo è un punto che li accomuna con i giappomembromaschile: difatti vivono con ancora più passione una importantissima crociata personale contro tutto ciò che possa essere di italica fattura, però loro non lo fanno guidati dall’odio ma bensì per difendere la purezza di quel che amano.
Si immergono totalmente nella loro, personalissima, visione della cultura giapponese. Molti di loro (alt! Non tutti quelli che fanno questa cosa sono così pessimi, ma parecchi sì) creano account facebook con nome e cognome di un loro personaggio amato, si comportano come se fossero loro per poi entrare in conversazioni pornografiche con altre ragazzine che si son create un alter-ego simile. Non sto criticando, sto informando.
Famosissimo il loro odio viscerale per chi osa paragonare i fumetti ai manga e gli anime ai cartoni animati, con alcuni picchi intellettuali del tipo: “i cartoni animati sono quelli che trasmette Italia 1, che sono fatti con disegni brutti e con trame brutte, con soli combattimenti… come Dragon Ball! Mentre gli anime sono più intelligenti e con disegni migliori, come Death Note!”. Problemi esistenziali gravissimi.
Crescendo, il vero nemico per chi ama manga e anime, non è tanto la società: perché, ammettiamolo, dopo un po’ si fa il callo, e l’adolescenza rende più divertente fare il contrario di quello che l’adulto dice. Il vero problema sono i modi estremi con i quali i giappofili adolescenti italiani (un acronimo da non coniare) vivono la loro grande passione.
Tornando seri, non credo sia un problema… del resto non è questo il bello? Vedere la loro passione, anche se a volte mal indirizzata, l’ardore col quale si commenta una determinata serie, rende la nostra comunità più viva e sicuramente più divertente.
Siamo giovani, anche quelli più adulti sono giovanissimi dentro, e amiamo lasciarci trasportare follemente dalla fantasia; immaginarci con la nostra Zangetsu o magari dentro un Eva, però si finisce spesso a litigare su delle sottigliezze. Forse abbiamo paura che qualcuno, chiunque, possa ancora giudicare male il nostro amore, o forse, abituati a lottare da soli, non conosciamo il vero significato della parola “comunità”. Nonostante tutto l’importante è seguire tutto ciò che amiamo, alla fine saranno sempre di più i punti che ci uniscono rispetto quelli che ci dividono.
Alex Ziro